“...ma l’impresa eccezionale, è essere normali...”
Lucio Dalla - “Disperato, erotico,
stomp” - 1977
19 febbraio 2017 - Aragon |
Se avessi tanta immaginazione, a
quest’ora non sarei qui. Sarei nella cabina di un traghetto, in un
punto qualsiasi del mar Ligure, tra Barcellona e Civitavecchia, a
scrivere il diario di uno di quei giri invernali che una volta
facevamo in gruppo e che ora potrei fare solo “da solo”.
Penserei all’emozione che
normalmente avrei avuto nel fare come sempre tardi, nel preparare i
bagagli, nel mettere a posto le cose nelle borse laterali, nel
comprare i regali agli amici che impazienti aspettano. Così, tanto
per fare, improvviso un racconto.
(avvertenza: le foto che
seguono sono finte, perché questa è una storia di pura fantasia)
“È tardi, cazzo, tardissimo”.
Era già vestito da moto, con doppia
calzamaglia superpippo (ricordate Superpippo?),
quando si accorse che non aveva con sé le chiavi per chiuderle,
quelle borse. Non aveva il cavo per ricaricare l’auricolare del
casco, non aveva i documenti della moto.
Così tornò in ufficio, già pronto
per partire, già in ritardo come sempre, e le due canaglie che
lavoravano con lui, Daniele e Pasquale, si lasciarono andare a una
risata sarcastica, quasi di compassione.
Dove aveva la testa?
Nel casco.
Un attimo dopo, coi tappi ben
calzati nelle orecchie, il boxer ruggiva lungo l’A11, in direzione
Genova.
Anzi no, Savona, perché al
mercoledì i traghetti da Genova per Barcellona, non ci sono.
E il ruggito di quella bestia,
lasciata in garage troppo tempo, finì col risvegliargli tutti gli
istinti sopiti dell’anno passato incollato a quella tastiera, preso
com’era dal lavoro e dalle beghe della vita.
Perché quando si invecchia, la vita comincia a mandarti il conto, che è ogni giorno più salato.
Perché quando si invecchia, la vita comincia a mandarti il conto, che è ogni giorno più salato.
E anche se le disgrazie piovono più
che altro a chi ti sta vicino, un po’ di quel conto devi pagarlo
per forza anche tu, perché, come quando sei a tavola, è giusto
spartire.
Spartire, partire.
Ecco Savona: il navigatore,
infernale ammennicolo della supertecnologica mukka, gli disse che
doveva uscire a Vado. Seguì le indicazioni e arrivò al porto già
in riserva, segno che per strada non aveva risparmiato molto, segno
che con molta probabilità, il postino avrebbe messo nella sua
cassetta un’altra busta verde.
Il porto però era deserto: la nave
doveva partire alle 23, ma lì non c’era nessuno, a parte due
traghetti gialli della Corsica Ferries deserti.
Era il porto sbagliato: da Vado
Ligure non partono le navi per la Spagna. Il sudore gli imperlava
quel po’ di fronte libera che il passamontagna termico gli aveva
lasciato e la visiera si appannò.
Le 22:10.
Coprì la distanza di 5 chilometri
tra Vado e Savona in una decina di minuti, interrotti da un migliaio di semafori rossi, cercando di fare il minor
casino possibile con quel motore che gli scalpitava tra le gambe,
approfittando del suo istinto, spesso traditore, dei possibili radar
nascosti o delle possibili imboscate delle guardie.
Stasera era il ladro, ma un ladro
gentiluomo: non rubava, semmai recuperava. Tempo.
Quando arrivò al terminal dei
traghetti, la strada era letteralmente assiepata di autotreni. Gli
sembrava di essere uno di quei ciclisti del Giro o del Tour, quando
stanno per arrivare al gran premio della montagna, che quasi non
vedono la strada da quanta gente che c’è attorno a loro, ad
applaudire. Per ogni metro che fanno, la calca si apre magicamente,
come quando i predatori attaccano i branchi di sardine. Differenza
evidente con il suo caso: davanti a lui nessuno si spostava. Gli
autotreni erano inermi, silenti. Nessuno applaudiva, nessuno sembrava
considerarlo.
Ma poi, davanti al varco doganale,
un giovane imbacuccato per il freddo agitò una torcia attirando la
sua attenzione.
Capì che la strada era quella.
“Buonasera signor Borselli, ha un documento?”
Lo sguardo interrogativo di Borselli
ebbe subito risposta. “Lei è l’ultimo, ma è
fortunato. La nave è in ritardo. Segua i miei colleghi e faccia
attenzione alle rotaie del treno. In moto può essere pericoloso”.
Lo ringraziò, ma l’avrebbe
incenerito con gli occhi, se avesse avuto quel potere.
Attento a chi? A lui?
Infatti, un attimo dopo, la ruota
anteriore si infilò nell’incavo tra rotaia e asfalto. Il piede
sinistro andò subito a terra, mentre la ruota posteriore provò a
seguire la sua padrona, ma la rotaia era troppo stretta per lei.
Questo salvò l’onore del pilota, che d’istinto ruotò il
manubrio sullo scambio, restituendo una base d’appoggio alla gomma,
facendogli recuperare la libertà.
Altro sudore, altra crisi
vasovagale. Gli sfinteri ressero per un pelo.
La sua era l’unica moto e questo
fu la prima gratificazione della serata.
Lo avevano scortato in testa alla
coda in attesa e così, analizzando gli sguardi di tutti, ebbe
l’impressione che lo invidiassero.
Tolse il casco, indossò il berretto
del vecchio Anakin Skywalker, formalizzò il check-in e poi fece
fuoco sulla sigaretta.
Don't underestimate the power of the Dark Side |
Il Millennium Falcon al porto di Mos Eisley, sul pianeta Tatooine (ma quanto sono fava???) |
Fa male il fumo, pensò. Ma accendersi una
paglia dopo un arrivo del genere, per lui non aveva prezzo.
Pagò cara la sua arroganza, perché
gli fecero mettere la moto nel garage più basso, una decina di metri
sotto la linea di pescaggio.
Primo a entrare, ultimo a uscire.
Ma non se ne curò. Telefonò ad
Angela, si fece due risate, e provò a dormire in una ghiacciaia con
vista mare, sul ponte di prua, proprio sotto la torre di comando.
Non fece la doccia, perché quel
traghetto faceva schifo. Provò a lamentarsi con l’addetto alla
reception, ma quello pensava solo a chattare, almeno finché c'era linea, e alzò annoiato lo
sguardo per dire che non poteva farci niente.
Come dire: estigrancazzi.
Normalmente il suo sguardo avrebbe
cambiato luce e la camera gliel’avrebbero sistemata. Ma era troppo
stanco. Si lasciò addosso la superpippo e dormì, mandando a quel
paese lo speaker che, alle 8 del mattino, annunciò, in un inglese
vergognoso, l’esercitazione di routine.
Captein tu criù, captein tu criù! AbBàndon té scipp, abBàndon
té scipp...” (*)
Pensò come sarebbe stato simpatico
avere un microfono e rispondergli per le rime…
Facchiù... (**)
Il ritardo di tre ore con cui la
nave arrivò all’ormeggio, il giovedì sera, gli fece aumentare la
fame e mentre guardava la banchina avvicinarsi, dal ponte di coperta,
gli venne in mente che aveva lasciato i documenti della moto in
ufficio.
Libretto e assicurazione.
Alla rada davanti a Barcellona. Colors. |
Stoppò l’ansia e il sudore e
scese nel garage 3. Respirò gas di scarico per scontare chissà
quale penitenza e un attimo dopo era su una delle gran vìas
del capoluogo catalano, scintillante di modernità e del modernismo
di Gaudì.
Parcheggiò davanti al SunotelCentral, un 4 stelle perfetto per trovare un po’ di confort e di
relax dopo la squallida cabina del traghetto. Rimase sotto la doccia
per un’ora e dopo essersi fatto stampare, alla reception, la copia
del documenti, uscì per mangiare un boccone.
Entrò in un ristorantino all’angolo
della Gran Via, La Catedra, e si sedette in un tavolo defilato, in mezzo a un
gruppo di tifosi che guardavano una partita imprecando. Villarèal
Roma: 0-1.
Ordinò una Paella con Marisco e una
birra, tirando fuori il meglio di sé con lo spagnolo che aveva
imparato in quelle peregrinazioni nella terra di Don Chisciotte ed
ebbe un moto d’orgoglio quando il cameriere, vedendo che la carta
di credito era italiana, gli fece notare, da italiano qual era anche
lui, che la sua pronuncia era perfetta.
Paella de marisco. Sullo sfondo, Cerveza |
Dormì contento di questo. E
contento anche di non essersi fatto riconoscere dagli ultras del
Villaréal, che aveva preso nel frattempo altre tre pappine dalla
“Maggica”.
Il viaggio del giorno dopo prevedeva
una lunga e dritta trasferta fino a Palencia, in Castilla Y Leon,
dove il gruppo dei suoi amici lo attendeva per una gitarella fuori
porta fissata per sabato.
Sarcasticamente, invidiò tutti los
cabrònes del Lado Oscuro: li invidiò, perché avevano lui per
amico, disposto a farsi 1.607 km per fare una scampagnata fuori
porta.
Rifornì a Sobradiel, sulla AP68,
sopravvivendo a più di duecento chilometri di nebbia fittissima e di
gelo che sparirono poco dopo Zaragoza, quando l’autostrada incontra
la N122. Percorse agilmente i 55 chilometri che costeggiano il
gigantesco panettone del Moncayo, innevato fino a metà delle sue
pendici, superò l’abitato di Tarazona e cominciò finalmente a
sentire il calore dei raggi del sole, lasciatasi la bruma alle
spalle.
Sierra del Moncayo (wikipedia), 2.373 metri |
La mesa che
conduce fino in Castiglia è tutta oltre gli 800 metri: torrida
d’estate e rigida d’inverno. Ma il tepore di quella giornata gli
asciugò le ossa.
Ad Ágreda proseguì, valicò i 1.160
metri del Puerto del Madero e puntò verso Soria, fermandosi, come
sempre faceva, all’Hotel Cardosa, alle porte di Soria, km 146 della
N122.
Si sedette a un tavolo
affamatissimo, ordinò una moltitudine di tortillas y chorizos,
sorseggiò una birretta e attese che la cameriera gli servisse il
piatto a tavola.
In quei momenti avvertiva sempre un
grande imbarazzo. Gli sembrava di essere un fuggitivo.
Del resto, che poteva farci un
motociclista italiano, in mezzo al parco nazionale della Dehesa del Moncayo? Pensava a questo quando affondò la forchetta nella
succulenta tortilla al prosciutto e formaggio. Pensava al viaggio che
stava facendo e pensava a quanto la solitudine del casco potesse
fargli affiorare i pensieri che normalmente non aveva tempo di
analizzare.
Riprese il cammino e proseguì sulla
N122 fino ad Aranda De Duero, dove solitamente avrebbe tenuto fermo
il timone verso Valladolid e i suoi Pinguinos o i Motauros, ma
stavolta no.
Stavolta la meta era Palencia, dove
l’attendeva un piccolo gruppo di dueruote, lì convenute da tutta
la Spagna per un raduno “Los Tempanos V”, nato da poco per iniziativa
del miol amico Chupy.
I Tempanos sono le stalattiti di
ghiaccio e quelle che stavano aspettando l’arrivo di Gas, una
cinquantina, avevano tutte un distintivo tatuato sulla pelle e uno
ricamato sulla giacca, tenuto vicino all’emblema mondiale dell’IPA,
una specie di NATO mondiale che tiene uniti tutti gli sceriffi del
pianeta.
Si, dai gli sbirri.
Gas rappresentava la XX delegazione Ipa della Valle d'Aosta, dalla quale gli era arrivata, alla vigilia della partenza, una stupenda grolla, in puro noce e intagliata a mano.
Gas rappresentava la XX delegazione Ipa della Valle d'Aosta, dalla quale gli era arrivata, alla vigilia della partenza, una stupenda grolla, in puro noce e intagliata a mano.
Ad Aranda deviò sulla CL619 e ci
rimase per 80 chilometri, finendo dritto nel cuore di Palencia, la
città che ha un Cristo, el Cristo del Otero, con le braccia aperte che la protegge
dall’alto di un cerro (in spagnolo, collina) e una chiesa romanica struggente, chiamata la
Bella Desconocida.
Pochi la conoscono, ma quando la vedono scoprono una meraviglia.
Pochi la conoscono, ma quando la vedono scoprono una meraviglia.
L’Hotel Alda, dove si sarebbe fermato due
notti, è in pieno centro ed è un’accogliente foresteria alla
quale non manca nulla.
Scaricò la moto di fretta, perché
voleva comprarsi una maglia termica – la sua era rimasta da qualche
parte, a casa – e un copricapo che sostituisse quello al quale,
lungo la strada, si era strappata la lampo.
Decathlon Palencia lo aspettava e
provò un insano e colpevolissimo piacere, nel comprare un piumino in
super offerta a 24 euro.
Quando arrivò Chupy, l’abbraccio
tra i due fece fermare per un attimo il traffico della piccola
cittadina castigliana.
Un anno dopo, il gruppo si stava
ricomponendo.
Aiutò l’amico ad apparecchiare i
tavoli in un ristorante, dove avrebbero cenato, e poi insieme
passeggiarono fino alla Plaza Mayor, dove sorseggiò un’Alhambra
gelata facendo conoscenza con quelli che non aveva mai visto e dove
abbracciò quelli che già conosceva.
Ritrovò prima Josè e Anna e poi
Paco e Miguel.
Nell'ordine: Pedro, Lorenzo, Paco, Miguel, Josè e Chupy |
Il Lato Oscuro stava per riprendere
nuovamente il sopravvento, a parte due hermanos che non sarebbero
venuti.
Sedette con loro, parlò, e bevve
anche un Gin Tonic, forse il primo della sua vita.
Buonissimo, ma fatale: il calore che
gli trasmise l’alcol fece calare la stanchezza dei 750 chilometri
percorsi da Barcellona fino a quell’avamposto castigliano e così
chiese e ottenne il permesso di ritirarsi.
Russò profondamente, nonostante il
bisturi gli avesse di recente riaperto i turbinati, devastati da anni
di incidenti, cazzotti e dalla nafazolina che usava per tenere le
mucose aperte.
Russò e sognò Rio de Janeiro,
forse per colpa di quella statuetta del Cristo di Palencia che gli
avevano consegnato quale Tempano màs Lejeno.
L’aveva stravinta, quella
statuetta.
Era l’oscar dell’avventura e in
qualche modo se l’era guadagnato, arrivando a destinazione senza la
compagnia del fratellino che “Oscar” faceva di nome per davvero e
che per il secondo anno era rimasto a casa.
Il giorno dopo, svegliatosi presto,
visitò col Chupy il comando della Polizia Locale di Palencia, dove
la concentrazione dei Tempanos sarebbe cominciata, e poi, tutte
insieme, le 53 moto – tra cui tre scooter – presero la N611 in
direzione di Aguilar de Campo, alle porte del paco nazionale “Fuentes
Carrionas y Fuente Cobre”.
Qui, dopo due anni di lontananza, ebbe l'occasione di rincontrare anche Joseburg, uno dei fondatori del Lado Oscuro della primissima ora...
Qui, dopo due anni di lontananza, ebbe l'occasione di rincontrare anche Joseburg, uno dei fondatori del Lado Oscuro della primissima ora...
Il gruppo IPA davanti al quartier generale della polizia di Palencia |
Visita alla centrale operativa |
Il tempo di un chupito e poi, sotto
una pioggia scrosciante e freddissima, presero la ruta de Los Pantanos, la P210, che inerpicandosi sulle pendici innevate di monti
che gli richiamavano la verde Irlanda, tra mucche e somari allo stato
brado, passarono attorno ai laghi artificiali (i Pantanos
appunto) fino alla meta del giorno, un borgo di case chiamato
Camporredondo de Alba, dove, attardandosi nel mangiare cose squisite,
tipo paella di terra, spezzatino di calamari e patate e una grigliata
poderosa, di carne e stinchi, li colse una tormenta di neve.
Non si peritò della circostanza.
Almeno l’antiacqua non l’aveva
dimenticata e così perse perfino tempo a discutere, con Josè,
della bontà della bevanda appena scoperta: tinto y gazeosa.
Incredibile.
Il gruppo ad Aguilar de Campo |
Appena arrivato in camera, dopo una
doccia caldissima, venne recuperato dal Chupy e proprio mentre
stavano passeggiando, tra la plaza Mayor e il ristorante dove
avrebbero cenato tutti insieme, ritrovò Paco e Blanca e di nuovo giù
abbracci e racconti dell’anno appena passato.
Non aveva ritrovato due caballeros,
forse sopraffatti dal Lado Triste e di questo si rammaricò,
soprattutto l’indomani, quando si alzò presto per rimettersi in
cammino.
Fece colazione con "Lobo", uno sbirro
di Vittoria, e poi ripartì.
Non era finita, perché il lungo
“camino” del giorno prevedeva un altro incontro importante:
Julian. Sotto il sole iberico ripercorse al contrario la strada fino
a Soria, dove si rifocillò in un bar del centro, e dove fece appena
in tempo a scansare una trappola della Guardia Civil, dopo aver preso
un radar. Lo aveva avvertito del flash un ragazzo in auto, che lo
raggiunse e gli disse di cambiare strada, perché più avanti c’era
il blocco.
Così fece: deviò sulla N234 verso Catalayud e in breve si lasciò alle spalle le alture del Moncayo, tornando a temperature più miti. Percorse un pezzo di A2 verso Zaragoza e poi prese per Cariñena mediante la A220, mantenendola in direzione di Belchite.
Così fece: deviò sulla N234 verso Catalayud e in breve si lasciò alle spalle le alture del Moncayo, tornando a temperature più miti. Percorse un pezzo di A2 verso Zaragoza e poi prese per Cariñena mediante la A220, mantenendola in direzione di Belchite.
Stava percorrendo la Ruta de Goya ma
anche stavolta non ebbe il tempo di fermarsi a Fuentetodos per
visitarne la casa natale.
Ruta de Goya |
Ruta de Goya, poco prima di Belchite |
Infatti, quando chiese, cartina alla
mano, come fosse la strada di Andorra – la cittadina, non il
principato, molto più a nord – per raggiungere la costa, ebbe
indietro lo sguardo compassionevole che si riserva agli idioti. Lo
comprese e si accese una sigaretta, pensando che avrebbe
semplicemente fatto da solo, come sempre.
Una zuppa di ceci meravigliosa... |
I peli sull'obiettivo... |
Come la copertina. Sullo sfondo, il muro di Aragon |
Foto di rito al Meridiano Zero, quello di Greenwich |
Arrivò, mise la mukka sul
cavalletto centrale e mentre cercava il numero di Julian, i suoi
pensieri furono interrotti da due ragazzini incravattati appena
diciottenni, di una qualche missione cristiana. Uno veniva
dall’Idaho, l’altro dall’Arizona.
Il loro spagnolo stentato convinse Gas a spiegargli che avrebbero potuto esprimersi in inglese, rompendo ghiaccio e imbarazzo. Certo, la fede in lui mancava da tempo, ma la loro tranquilla accettazione della sua condizione di esule, anche di Cristo, lo indussero ad approfondire. Parlarono di cibo, di viaggi, di moto e delle loro case lontane. “Mormoni”, dissero. “Siamo mormoni e stiamo facendo un college in giro per l’Europa”.
Il loro spagnolo stentato convinse Gas a spiegargli che avrebbero potuto esprimersi in inglese, rompendo ghiaccio e imbarazzo. Certo, la fede in lui mancava da tempo, ma la loro tranquilla accettazione della sua condizione di esule, anche di Cristo, lo indussero ad approfondire. Parlarono di cibo, di viaggi, di moto e delle loro case lontane. “Mormoni”, dissero. “Siamo mormoni e stiamo facendo un college in giro per l’Europa”.
“Strana la religione”, pensò:
da una parte del mondo i ragazzini di quell’età indossano cinture
esplosive o imbracciano mitra per ammazzare l’infedele; dall’altra
ci parlano, con l’infedele. Non insistono nei tentativi di
convincere o di convertire. “È stato bello parlare con te”, gli
disse uno, quello più vispo, un biondino con gli occhi celesti. Gli
diede un biglietto da visita e insieme al suo confratello sparì
dietro l’angolo, entrando in un dedalo di palazzi abitati
soprattutto da arabi e pachistani.
Spedì un messaggio a Julian, che
ancora non era tornato, e poi telefonò ad Angela.
Non gli parve il vero di sentire la
sua voce, prima di quella dei bambini, che gli raccontarono la
giornata di divertimento sulla neve, rovinata solo dalla sua assenza. Non c’era niente da cui scappare,
semmai c’era qualcosa verso il quale tornare.
Julian annunciò il suo arrivo
clacsonando da dentro un Hummer rosso maranza, parcheggiò sulla
soglia del basculante condominiale e saltò addosso a Gas come fanno
i bambini col babbo o col fratello maggiore. “Fratello maggiore è
meglio”, pensò Lorenzo: 39 anni da compiere contro 46 compiuti non
rappresentano paternità. Fratellanza, semmai.
Juli scattò la foto di rito nel
garage e poi aiutò l’amico peregrino a portare le borse in casa.
Foto en garaje... |
Aperitivo in famiglia Gaton |
La casa.
Quella di Julian è belissima, ma
senza Julian Junior e Ferran è desolata.
Mancano anche Miriam e Brunito, il perro
che 6 anni prima si era ripetutamente accoppiato con la gamba di
Lorenzo, la stessa che accarezzò il sedere con la coda mozza per
fargli capire di non essere interessato a una relazione sentimentale.
Miriam non c’è da un pezzo, i
bimbi sono con lei, e Bruno semplicemente non c’è più.
Parlarono, fumarono insieme e poi,
dopo una doccia, raggiunsero i genitori di Julian, in un bar sulla
riva sinistra del fiume.
Fu il preludio di una serata
tranquilla, senza guardare le lancette dell’orologio.
Jamon y tinto chez Manolito |
Una serata normale, diversa da
quelle che avevano sempre caratterizzato gli incontri di Tortosa,
quando Lorenzo e Oscar, normalmente, arrivavano di corsa dopo essere
sbarcati, diretti l’indomani verso i Pinguini.
Seguì un gigantesco piatto di Jamòn
da Manolito, accompagnato dal vino tinto del posto, e qui non mancò
l’occasione di far la conoscenza con altri due sbirri nazionali.
Gli spagnoli non hanno mai fretta: fanno colazione con calma, parlano del più e del meno, vanno un po’ in ufficio e poi s’incontrano per strada o nei bar.
Gli spagnoli non hanno mai fretta: fanno colazione con calma, parlano del più e del meno, vanno un po’ in ufficio e poi s’incontrano per strada o nei bar.
Parlarono moltissimo e poi
iniziarono i preparativi di Gas per raggiungere Barcellona, conclusisi come sempre davanti all'ufficio di Julian, sulla main street della città, per la foto di rito.
Julian promise per l’ennesima
volta di raggiungerlo a Firenze, di dargli l’occasione di
ricambiare tanta ospitalità e poi, così com’era arrivato, Lorenzo
se ne andò.
Mitica foto... |
La strada verso Barcellona merita la
via interna: la C12 fino a Mora costeggia l’Ebro, dal suo letto
profondo, su rive lussureggianti che si alternano tra impervie e
ordinate, come solo i vigneti tra le rocce possono essere. Da Mora a
Reus, invece, la ruta comincia a curveggiare in sinuose e lunghe
paraboliche, mostrando una volta in alto, la spianata di Tarragona.
Ma poco prima di Reus, l’amante
delle pieghe deve svoltare a sinistra e sbizzarrirsi per gli
imbarazzanti 38 chilometri che separano Les Borges del Camp fino a
Ulldemolins, dove inizia il vero luna park dell’itinerario.
Ruta TV7004 |
La strada TV7004 verso Montblanc gli
sembrò incredibile, così tanto che a metà strada tornò indietro
per puro divertimento. L’impaccio delle valigie laterali, la
goffaggine della borsa serbatoio, la difficoltà del guanto invernale
nel pizzicare il freno non impedirono all’adrenalina di risalire
verso il cervello, quel poco che gli restava, e solo quando pensò
che se fosse caduto lì lo avrebbero ritrovato putrefatto, si rialzò
sul busto e riposizionò la centralina su road,
dopo lo strappo in dyna.
Fece appena in tempo a mangiarsi una
gustosa pizza diavola alla Reina Margherita di Barceloneta, una volta presi
i souvenir di rito per i bambini, e ad imbarcarsi.
Mukka al paskolo, sotto la Sagrada Familla |
“È tardi, cazzo, tardissimo”.
Al porto non c’era più nessuno,
erano già tutti dentro.
Così come all’andata, riuscì a
far tardi anche al ritorno, tanto che avvertì chiaramente gli
improperi che gli arrivavano dagli addetti all’imbarco. Mentre
faceva la doccia, stavolta non poteva fare altrimenti, sentì vibrare
il pavimento di plastica sotto i piedi.
La nave era partita.
Adeu... |
Russò e sognò di essere libero.
Forse per colpa di quella statuetta del Cristo di Palencia che gli
avevano consegnato quale Tempano màs Lejeno.
Aveva stravinto quella statuetta.
Era l’Oscar della libertà e comprese ancora una volta che poteva
rifarlo in ogni momento.
Per quello preferiva tornare a casa.
Da Angela, da Filo e Bianca, dalla
zia, dal babbo e anche da Paolo, fratellino dal muso lungo e dalla
battuta pronta.
L’impresa eccezionale fu quella di
averlo capito ancora una volta. Era tutto normale.
(*) spero comprendiate che si tratta
di ironia
(**) spero comprendiate che si
tratta di ironia (2)
Lorenzo Borselli 2017 © Tutti i diritti riservati
Facchiùùù!!!!!!!!!!*
RispondiElimina* spero comprendiate che è solo invidia
ahahahahahahah!
EliminaAlla grande Lorenzo!!! :-)
RispondiEliminaGrazie Marcone! E' sempre un piacere!
EliminaFantastico articolo Lorenzo! E complimentoni per il blog =)
RispondiEliminaGrazie Riccardo. Ci conosciamo?
Eliminaciao Lorenzo!
EliminaNon ci conosciamo ma ho avuto il piacere di leggere qualche tuo articolo.
Complimenti ancora!
Non so se mi piacciono di più i posti che hai visitato e di cui i miei figli parlano spesso oppure le parole che usi per descrivere il tuo viaggio. Una cosa però la so! La prossima volta vengo anch'io con te! Ciao fratellino
RispondiEliminaBeh, caro fratellino, io ti aspetto!!!
RispondiEliminaSe avessimo tanta immaginazione.. a quest'ora non saremmo qui.. saremmo tutti a far parte di una meravigliosa storia di pura fantasia.. saremmo nascosti dentro alle borse laterali della mucca, scrutando l'orizzonte di tanto in tanto, cullati dalle dolci curve. Penseremmo che è magnifico godere delle pulsazioni del boxer, di tutti i profumi e dei sapori che offre il paesaggio.. penseremmo che sono davvero belle le vibrazioni delle amicizie che scaldano il cuore, e saremmo in pace col mondo..
RispondiEliminaUn'altra bellissima storia di pura fantasia la tua, Lorenzo, un altro bellissimo viaggio il "nostro"..
Come al solito ci porti in luoghi meravigliosi.. che spesso non conoscevamo..