Vedremo
il mare, oggi. Siamo al 29 aprile e lasceremo Marrakech e la sua esplosione di colori per
attraversare le terre dell'Argan e raggiungere, in poco meno di 200
chilometri, la costa di Essaouira.
È
uno spostamento rapido, quasi tutto dritto, sulla N8, la stessa
strada che, accarezzando i monti del Medio Atlante, ci ha portati da
Ifrane, la cittadina pseudoalpina che avevamo incontrato uscendo da
Fes qualche giorno fa, fino a Marrakech. Come al solito, all'uscita dall'albergo,
proviamo a procedere uniti, ma poi finisce sempre che ognuno va con
la propria andatura.
Lungo la N8
A Chichaoua (شيشاوة)
troviamo il modo di appassionarci ad una festa che rievoca una
qualche battaglia berbera: la
strada è letteralmente invasa da migliaia di persone di tutte le età
e se le donne gironzolano
nella strada, divenuta "souq" improvvisato per l'occasione, i
“maschi” di tutte le generazioni si assiepano attorno al campo di
battaglia, dove due schieramenti a cavallo si affrontano sparando con moschetti caricati a salve (speriamo…). La riuscita di ogni carica,
ci pare, è determinata dalla contemporaneità o meno delle
detonazioni, mentre le bandiere del Marocco garriscono al vento caldo
del deserto…
A proposito di bandiera: il drappo marocchino è interamente tinteggiato di rosso, il
colore dei muri delle case di Marrakech, con
una stella verde cinque punte al centro: Fino al 1915 la stella di punte ne aveva sei e riproduceva il
sigillo di Süleyman, Re Salomone. La stella indica la saggezza, la
pace, la salute e la vita. Il verde è il colore dell'Islam, la
religione ufficiale del paese. Le cinque punte della stella indicano
i cinque "Pilastri" dell'Islam.
Detto
questo, veniamo al tormentone del giorno. Qualcuno di voi sa cos'è
lo “Sheldon Cooper's Knock Knock...”? No? Ve lo spiego.
Sheldon Cooper (al secolo Jim Parsons) è uno dei protagonisti della celeberrima sitcom
americana “The Big Bang Theory”, nella quale si raccontano le
comiche avventure di un gruppo di giovanissimi scienziati della
Caltech, l'università della California. I geni, perché sono dei
geni, sono anche dei soggetti un po' bislacchi, dei “nerd”
tanto brillanti quanto ingenui, attratti dalla fisica quantistica e
dai giochi di ruolo e dalle serie tv degli anni '70, tipo Star Trek,
assidui lettori dei Marvel.
Di quelli che, per intenderci, puoi
trovare travestiti da Batman (e Robin), da capitan Harlock o da Iron
Man mentre passeggi nel centro di Lucca nella settimana del “Comics”.
Sheldon, quando bussa alla porta della ragazza di uno dei suoi
colleghi/amici Leonard, non lo fa normalmente: Penny, che è l'unica
“umana” del gruppo, in genere non ci mette molto ad aprire,
eppure Sheldon ripete continuamente, mentre bussa senza fermarsi,
“Penny, Penny, Penny...”, stoppandosi solo quando lei, la bella
cameriera impersonificata da Kaley Cuoco, apre.
Ecco, il tormentone del giorno è il nostro “Sheldon” Molinari
che, praticamente da quando siamo partiti, continua a importunare il
Ciocio (in effetti il soprannome sembra avere una certa assonanza col
cognome dell'attrice, Cuoco…) chiedendogli, senza zittirsi mai,
dove sia l'albero delle capre.
L'albero delle capre, sì, avete capito bene.
E ora direte voi: cazzo c'entrano le capre?
Avete presente l'olio di Argan? Ecco. L'olio viene estratto da una
specie di noce prodotta dall'Argania Spinosa, frutto del quale le
capre berbere sono particolarmente ghiotte. Una volta l'olio veniva
ricavato proprio dalle noci trovate a terra ed espulse dall'apparato
digerente dei simpatici (ma testardi) animaletti, ma oggi i parametri
internazionali non permettono la commercializzazione di un olio
alimentare (perché l'olio di Argan viene anche utilizzato per questi
fini) che sia prima già stato alimento. Mi rendo conto che è un
argomento spinoso, ma serve per introdurre il Molinari's Knock
Knock”.
Le
capre non aspettano, generalmente, che i frutti dell'Argania cadano a
terra e così non è insolito incappare in qualche alberello sulle
cui fronde ci siano queste belle caprette che divorano i frutti
direttamente dai rami. Oggigiorno, però, le foreste di questi alberi
si sono talmente assottigliate che solo qualche albero lungo la
strada viene lasciato alla mercé delle caprette, lasciando il resto
delle piantagioni all'uso esclusivo delle tante cooperative femminili
che vivono di quest'attività.
Improvvisamente,
a terra, vediamo una scritta: “Albero con capre”!!! Ciocio, sbroccato, ha preso un gesso e ha fatto come fanno i tifosi
nel ciclismo, per porre fine alle insistenze del Südtiroler Ziege.
Ci fermiamo nei pressi di una cooperativa, dove acquistiamo qualche
flaconcino del prezioso prodotto, e da dove ripartiamo alla volta di
Essaouira. Molinari non si toglie nemmeno il casco: lui, vuole le
capre.
Finalmente, eccole...
Finalmente...
Paolo era oggettivamente molto emozionato e nei suoi occhi
lampeggiava la luce della conoscenza. Se ci fosse stata una colonna
sonora di quel momento, sarebbe stata quella scelta da Stanley
Kubrick nella scena di “the dawn of man”, l'Alba dell'Uomo. Del
resto, la scoperta è un atto di conoscenza diretta, come l'uomo che
scopre come accendere il fuoco, come fare di un femore d'antilope
un'arma o come scoprire le capre. Ecco, le capre.
E mentre le note di Richard Strauss infervorano lo spettatore sul
brano “Also Sprach Zarathustra”, la puntina del giradischi viene
strappata dalla voce di un berbero che rompe la solennità del
momento rivolgendosi al Molinari. Vuole soldi per le foto.
Molinari, contrariato come Erwin Rommel il giorno del D-Day, assume
un sorrisetto di circostanza e dopo aver simulato di star cercando
monete nella borsa serbatoio, avvia il boxer e sparisce
all'orizzonte, facendo cadere tutte le capre cagaolio dall'albero di
Argania.
Noi, ancora ridiamo...
E
mentre ridiamo, guidiamo, inseguendo il Molinari a tutta birra!
Il
passo successivo è, come dicevo, il mare, al quale arriviamo
percorrendo per lungo tutta la pianura del Souss (بلاد
السوس).
Ci
arriviamo dall'alto e l'azzurro dell'oceano si disvela
all'improvviso, come all'improvviso ne cogliamo la brezza
rinfrescante, che spazza via in un istante la polvere del Sahara
dalle giacche e dalle moto.
Foto rubata da http://theoasisfest.com/info/essaouira
Essaouira (الصويرة),
che tradotto vuol dire “la ben disegnata”
è insolita per il Marocco che abbiamo visto finora: è un porto,
fortificato, con mura, bastioni e postazioni per i cannoni. C'è la
medina, patrimonio dell'Unesco, ci sono le moschee, c'è il Souq, la
kasba e il quartiere ebraico (il Mellah,
ormai abbandonato), ma dai mattoni secolari la storia dice
anche altro. Dice, ad esempio, che le fondamenta di questo scoglio
africano sono europee, partorite dalla mente francese di un
ingegnere, Théodore Cornut, che un sultano di nome Sidi Mohamed BenAbdallah, Mohammed III, aveva chiamato a ridisegnare nel '700 la pianta
dell'avamposto militare portoghese, per annientare la potenzialità
commerciale di Agadir, uscita dalle grazie del regno per le sue
velleità indipendentiste.
Il passo successivo del Sultano fu quello di chiamare quanti più
ebrei possibile, per dare conferire alla città il tocco finale: il
commercio. Chi meglio degli ebrei poteva riuscire nell'impresa?
Appena
arrivati, ovviamente per ultimi, sistemiamo i bagagli in una suite
del lussuosissimo Le Medina Essaouira Hotel Thalassa Sea & Spa,
dove Ciocio riesce a fare, a me ed Angela, un regalo immenso. Alla
reception gli dicono che la nostra stanza non è ancora pronta e lui,
simulando un po' d'imbarazzo, bisbiglia alla ragazza che siamo in
viaggio di nozze. Trenta secondi dopo arrivano due facchini, caricano
i nostri bagagli e ci portano nella camera più bella dell'hotel, con
vista mozzafiato sul mare increspato di onde e pieno di kite surf...
Il
tempo di cambiarci e andiamo subito al ristorante: il gruppo si
dividerà, perché mentre una parte andrà a spassarsela coi
quad sulle dune di una spiaggia sterminata, noi due e il Molinari
decidiamo di spingerci a sud, verso Agadir. Io faccio in tempo a
farmi cadere la mukka su un lato, anche se la rapidità con cui
riesco a rimetterla in piedi impedisce a tutti (o quasi) di assistere
alla pietosissima scena.
La strada verso Sud è letteralmente incantata: asfalto perfetto, spiagge lunghissime e desolate con il bagnasciuga che si protrae all'infinito, sfumando e sfuocandosi in una foschia di salmastro. Percorriamo un centinaio di chilometri tra anse di roccia e lingue di sabbia, tra spartani stabilimenti balneari per i surfisti e qualche abbozzo di viaggio turistico, simili a quelli che hanno devastato la costa del Mar Rosso. Qui il turismo ha avuto poca fortuna e francamente non sapremmo dirvi se ciò sia stato un bene, perché il Marocco resta un paese povero, o se sia stato un male. Di sicuro, la natura non ne risente e tutto sembra procedere per il meglio.
Mi piacerebbe poter ricordare nomi e indicazioni, ma non posso essere molto preciso: tuttavia, la strada che abbiamo percorso è semplicissima. Bisogna uscire da Essaouira a sud, lasciando che la silhouette dell'isola di Mogador sparisca lentamente dalla vista alla sinistra della visiera. Mogador, l'isola della Porpora, dove gli scavi archeologici hanno riportato alla luce i segni fenici e romani. Il modo migliore per evitare il traffico è quello di tenere sempre la strada P2201 e, comunque, di non allontanarsi dal mare. Seguite le indicazioni per Sidi Kaouki (سيدي
كاوكي) e arriverete in questa splendida (e deserta) spiaggia, dove i cammelli gironzolano vagabondi tra i pochi ombrelloni e le tante vele di kite e di windsurf, dove l'aria entra così tanto forte nei polmoni da farti inginocchiare e ringraziare il tuo dio.
Continuando, la strada rientra verso l'interno all'altezza della spiaggia di Azro. Attenzione: questa spiaggia non è segnalata ma per trovarla, fermatevi poco dopo l'abitato di Ezzaouite, un piccolo comune rurale, se volete a queste coordinate (31°17'34.4"N
9°47'27.5"W) e date le spalle alla strada, scendete verso il mare. Guardate, scattate una foto, mandatemela e poi mi dite. Giuro che l'appicco qui sotto.
[spazio per foto]
La P2201 finisce improvvisamente in un tornante, dove diventa P2222 e si infila definitivamente nell'interno della provincia, fino a quando, purtroppo, l'aria di un'Africa insolita, quasi "sarda", termina all'incrocio con la N1.
Ops. We have a
doubt: the north or south?
Il dubbio non è di poco conto, sapete? Trovarsi all'improvviso in un posto sperduto che sulle mappe puoi trovare solo con le coordinate GPS (31°14'37.0"N
9°43'43.5"W), non è una situazione facile per una coppia di bikers desiderosa di sparire per un po' dalle rotte battute. Andiamo a sud, verso Agadir (أڭادير), il suo porto di pescatori, la sua collina che di notte si illumina con il suo nome impresso sulle sue pendici, la sua lunghissima spiaggia, e finalmente ci perdiamo, oppure torniamo verso il Ciocio e il resto della banda? Perché è verissimo che l'istinto ci porta lontani, quando si è in sella, però il gruppo ci ha conquistati e sappiamo che il conto alla rovescia per Tangeri è ormai agli sgoccioli...
Guardo nello specchio gli occhi dolci di Paolo e senza troppo indugiare metto la freccia a sinistra. Fine della gita, si torna indietro...
Ciocio, arriviamo...
Detto questo, pensavamo che al nostro ritorno tutti fossero impazienti di sapere cosa avevamo visto, quali strade avessimo percorso, quali incontri avessimo fatto...
Invece, nada.
I diversamente giovani, quando siamo arrivati, sembrava si fossero drogati: canapa? Hascisc?
No: adrenalina.
Mauro, in modo particolare: abbracciava la Susi con un trasporto tale dall'aver fatto pensare, a tutti noi, che il principale effetto del quad fosse stato - almeno per lui - equivalente a C22H30N6O4S.
Si, dopo tutto quel deserto, il mare ci voleva proprio. Se volete farvi un po' di spiaggia tranquilla, venite quaggiù. Del resto, Essaouira non è una città dall'animo proprio africano e la colpa, pare sia di Frank Zappa, Jimi Hendrix e di un nutrito gruppo di loro colleghi hippies che, dal 1960 in poi, fecero della "ben disegnata" la loro casa ideale. Poi arrivarono i film, i campionati di windsurf e i festival musicali, primo tra tutti quello dedicato alla "gnaoua", introdotta dai neri che, prima ancora delle Americhe conobbero nel loro stesso continente catene e schiavitù. Per chi mastica qualcosa di musica, la gnaoua si suona con una specie di liuto e un tamburo, con le nacchere e gli immancabili tamburi.
Se passeggiate con calma, vedrete che in questa kasba nessuno vi scoccerà tirandovi dentro il proprio negozio e se entrerete in qualche localizzo, sarà facile imbattersi in qualche dichiarato figlio illegittimo di Jimi o Frank...
Comunque, garantito, vi perderete nei colori e negli odori, molto simili a quelli di Marrakech ma senza la calca di quella metropoli...
Senza ubriacarvi troppo di foto e di colori, taglio corto. La cena in albergo, a buffet ma buonissima, e la passeggiatina allo struggente tramonto di Essaouira, le chiacchiere col Ciocio e il pensiero per il giorno dopo, rendono più semplice il lavoro di Morfeo... Casablanca ci aspetta.
Questa è mia...
La partenza è, come al solito, alla spicciolata. È un sabato, l'ultimo del mese di aprile, giorno 30, il decimo di questo viaggio. Chi ieri si è divertito col quad, oggi andrà in giro per la medina di Essaouira, mentre il resto della truppa, Ciocio "in coda", si allungherà subito sulla R301 per percorrere i 380 chilometri che separano la splendida città di mare alla capitale della regione, Casablanca. Per me non è una giornata facile: appena dopo una trentina di chilometri cado vittima di una strana debolezza che trasforma il bellissimo paesaggio in una guida sofferente. Il mare è forte, come può esserlo l'oceano: le onde si allungano e si infrangono verso sconfinate spiagge che dividono l'acqua dalla terra. Ogni tanto incontriamo un villaggio, quando la strada reale rientra verso l'interno spinta da qualche falesia, ed è qui che comprendiamo quanto sia ancora povera, la gente marocchina, e di quanto potenziale questo paese abbia da offrire, in termini di turismo e sport. Dicono che l'acqua sia sempre fredda, ma le vele dei surf e dei kite sono il segnale che tutto qui potrebbe divenire meta.
Il gruppo che si forma davanti a noi è composto dal solito Paolo, dalla coppia "de fero" Abi e Doc e da Antonio e Vania. Più o meno a Lamaachate
(المعاشات) ci fermiamo per un the, dopo aver dribblato qualche tartaruga che attraversava la strada e dopo essere riuscito a tenere in equilibrio la mukka. Ci circonda un esercito di ragazzi e ragazze, probabilmente usciti da scuola, che si mettono silenziosamente a fotografare le nostre moto, cercando i nostri sguardi per strapparci una parola. Io parlo con un ragazzo che mi chiede di Valentino Rossi: parla un misto tra berbero, l'unico idioma che non mastico tra quelli che mi propone, francese, inglese e spagnolo. Mi stampa un sorriso immenso e riprende la sua strada, mentre Angela è andata a fare due passi tra i banchi del mercato, tornando con un sacchetto di noccioline. Il the alla menta mi aiuta, ma per risolvere la situazione serve ben altro e l'occasione arriva quando, dopo aver costeggiato una trentina di chilometri di ininterrotta spiaggia, arriviamo a Oualidia (الوالدية), a poco più di 150 chilometri dalla nostra meta del giorno.
La cittadina non è delle più grandi e anche se sulle guide viene descritta come un luogo pittoresco, a me ha colpito soprattutto il mare, che ricorda, grazie a una bellissima laguna e ad una spiaggia finissima, quello della Sardegna. Qui, lo si capisce subito, si vive di turismo e di pesca (soprattutto di ostriche), come avremo modo di sperimentare tra poco in un delizioso (e occidentalissimo) ristorantino.
Prima, però, voglio ricordarmi, pubblicandone la foto, di un bellissimo bambino vestito da poliziotto, che dopo averci dato l'alt sulla R301, quando ha visto il mio distintivo, si è messo subito a piangere, facendo scoppiare a ridere noi e il papà. Ciao piccolino!
Dopo un paio di tornate sull'istmo di terra che separa il mare dalla laguna, che ha una forma insolita a mezzaluna, decidiamo di fermarci al ristorante L'Initiale, dove iniziamo a ordinare in attesa della coppia in ritardo, Abi e Doc, che lungo la strada si sono un po' attardati. La vista che si si apre, arrivando alla spiaggia, è davvero notevole: si vede che qui il mare è calmo, come in pochi altri posti del Marocco.
Lasciamo Oualidia satolli e soddisfatti, appena un poco infastiditi da un gruppo di ragazzi del posto che poco prima del pranzo hanno fatto di tutto per rovinarci la vista dello splendido mare cercando di portarci ognuno al suo ristorante preferito. Riprendiamo la R301 e puntiamo dritti verso Casablanca: quasi tutti imboccano l'autostrada A5 a El Jadida (الجديدة). Quasi tutti, ma non noi. Io e Angela continuiamo sulla strada normale, cercando di tenerci il più vicino possibile all'oceano e raggiungere così Casablanca con calma.
Facciamo appena in tempo a dare un'occhiata alle viuzze della città, patrimonio dell'Unesco, tirata su dai portoghesi agli inizi del '500, ed a vedere i bastioni della fortezza. In uno di questi, il bastione di San
Sebastiano, si può ancora visitare una cappella dell’Inquisizione.
La strada che facciamo noi è la R320, che costeggia, desolata e piena del solo traffico locale, l'Atlantico e la sua lunghissima spiaggia. Prima incrociamo Sidi Rahal (سيدي
رحُال) e poi Casablanca: la metropoli ci sorprende all'improvviso, col traffico che aumenta, coi camion che si attardano ai semafori, coi blocchi della Sureté Nationale e con la cappa di smog che oscura il cielo.
Il Ciocio ci aspetta, con le chiavi della stanza in mano. Siamo gli ultimi anche oggi e abbiamo fatto tardino, come sempre. La cena è già pronta e al Golden Tulip Farah, e probabilmente non amano aspettare...
Cià...
Bello, bel viaggio !!! Ci stiamo lavorando 😋
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