"Le
grandi montagne hanno il valore degli uomini che le salgono,
altrimenti non sarebbero altro che un cumulo di sassi."
Walter Bonatti
Il passo di N'Tamatert, 2.302 metri. Atlante. |
Avevo cominciato da qui. Il giallo ocra di questa terra cozza,
letteralmente, col blu del cielo, più terso che altrove. Sarà per i
2.302 metri d'altezza sul livello del mare, sarà per la testa ancora
persa negli odori della vicina Marrakech. Sarà per l'incredibile
viaggio che Ciocio, il giorno prima (siamo al 27 aprile) ci aveva
preparato, ricamando sulla carta, come solo mia nonna sapeva fare sul
lino, un itinerario irripetibile.
Ma dov'ero rimasto? Mi sembra a quando avevo messo la moto sul
cavalletto, a Zagora. Confesso che, appena spenta la mukka, ho
cercato lo sguardo dei due monelli del gruppo, due di quei biker
solitari di cui ho accennato in qualche didascalia delle gole di
Dades: Bruno Gomarrasca e Simone Mantovani, che nel risalire il passo
di Tizi n'Tinififft, avevano autografato più di una curva con un bel
virgolone nero gomma. Ce ne sarebbe anche un terzo, Silvano Corvasce,
ma di lui vi parlo più avanti. Sulla strada di n'Tinififft pare sia
addirittura decollato...
Il primo, Bruno, è un ragazzaccio che fa un lavoro stranissimo:
costruisce schermi per i cinema. In pratica ritaglia (e cuce...)
enormi lenzuola bianche e ci proietta sopra roba tipo Star Wars o
cose simili. Dev'essere un mestiere difficile e pare che al mondo non
ci siano tanti cervelli in grado di far tanto, e così - pare - sia
anche ricchissimo. Se la Finanza non lo sa, ok, si accomodi: ma credo
che, essendo un crucco, capace di trovare la Weiss anche nel deserto
(e se non la trova fa yoga), Bruno non abbia mai evaso nemmeno un
nichelino. Purtroppo, cavalca una KTM.
Il Bruno. Come si vede è in sella a una KTM |
L'aria da furbetto – ma non del quartierino – è invece quella
che vedi negli occhi del secondo discolo del gruppo, Simone, che si fa chiamare "Bugac", nickname
dal tono lievemente onomatopeico. Mi ha spiegato cosa voglia dire, ma
francamente me lo sono dimenticato: forse il verso della gallina, in inglese? Lui è arrivato comodo-comodo in aereo direttamente a Tangeri, dove Ciocio gli aveva fatto trovare la sua
GS1150 già con le termocoperte e in temperatura, appena scaricata dal
carrello del Cherokee. "Sai - mi ha detto - non posso assentarmi troppo dal lavoro...".
Eppure, nel suo account Instagram, sembra spassarsela sempre, in compagnia spesso di una bellezza bionda che non si è ancora degnato di presentarci. Probabilmente è un narcotrafficante o uno che ricicla denaro. Ha tutta la mia ammirazione, ma se lo becco, lo arresto. Ho scelto una foto che non rende onore alla sua intelligenza.
Ahahahahahahahah!
Eppure, nel suo account Instagram, sembra spassarsela sempre, in compagnia spesso di una bellezza bionda che non si è ancora degnato di presentarci. Probabilmente è un narcotrafficante o uno che ricicla denaro. Ha tutta la mia ammirazione, ma se lo becco, lo arresto. Ho scelto una foto che non rende onore alla sua intelligenza.
Ahahahahahahahah!
Guardate voi se non ha la faccia da Bugac... Sarà la mia vicinanza? |
Veniamo alla strada: i due monelli Bruno e Simone, ieri si erano letteralmente scatenati su questa specie di pista che collega Ouarzazate a Zagora, 160 chilometri sui crinali della
catena del Djebel Sarhro. Io, Angela, Doc ed Abi, invece, l'abbiamo
percorsa quasi a passo d'uomo, e quando siamo entrati nella valle del
Draa, abbiamo visto il verde delle oasi annientare – tra una kasbah
e l'altra – la nudità delle rocce. Stanchi, esausti direi, abbiamo
capito di essere arrivati quando la strada ci è stata sbarrata da
Jebel Kissane (كيسان), che si erge coi suoi 1.559 metri fuori da una città vivissima, nonostante la
distanza da qualsiasi altro centro abitato ci avesse fatto pensare il
contrario.
Agora, 27 aprile 2016
La velocità, dicevo: ho fatto il bravo per tutto il viaggio e lo
farò ancora. Ma per qualche minuto, oggi, mi concedo una rimonta sul
gruppo, mentre l'interfono mi notifica ufficialmente l'incazzatura di Angela, che
tra una piega e l'altra stringe le maniglie sulla sella finendo poi,
ormai alle porte di Ouarzazate, col prendere a pugni il mio casco come se
fosse il punchball della palestraccia che frequento.
Qualcuno di noi si alza prestissimo, alle 5 del mattino, per raggiungere le dune di Erg Chegaga, ma noi preferiamo poltrire. Lo so, lo so. Non ce lo ripetete troppe volte.
Ancora nei pressi di Agdz, in fila indiana |
Nel cuore di Zagora |
Così, dopo aver penato un po' in banca per prelevare del contante,
torniamo sui nostri passi e riprendiamo la strada per Ouarzazate,
seguiti dalla sagoma rassicurante della Cherokee del Ciocio,
accompagnato da Gelindo Viero e Antonella Piccolo, due fuoristradisti veneti, abituati alle notti nel deserto e ai percorsi
accidentati dell'Africa magrebina e sub-sahariana a bordo della loro jeep. Mi dispiace non potervi associare foto in posa della coppia, ma nello sterminato archivio di immagini di Angela e dei Tabellini ho trovato solo queste...
Ho chiesto alla Gendarmeria Reale di farmi avere qualche copia delle loro foto, scattate alla Ciocio-Mobile, ma ancora non mi è arrivato niente. Vi terrò aggiornati.
Ladies and Gentlemen, that's Gelindo... (© Elisa Biondi & Luigi Tabellini) |
Gelindo e Antonella alle prese con un pericoloso guado... (© Elisa Biondi & Luigi Tabellini) |
Per una sessantina di chilometri fatichiamo, esattamente come
all'andata, per sopravvivere all'inferno dei cantieri della N9, che
Sua Maestà Mohammed VI vuole raddoppiare: buche, sensi unici
alternati, mezzi d'opera in manovra, gendarmi sul piede di guerra ma,
soprattutto, tantissima polvere. A questo dovete aggiungere un
traffico spropositato di macchine, camion e carri trainati da muli,
con bambini che attraversano all'improvviso e cammelli che stazionano
placidi sul ciglio della futura autostrada, pronti ad alzarsi per
rispondere al fischio del padrone sull'altro lato. Ad Agdz salutiamo
un ragazzo del posto, che il giorno prima ci aveva spiegato come
raggiungere il ristorante prenotato da Ciocio, mentre
un camion che si ferma davanti a noi ci dimostra l'approssimatività
del codice stradale locale, sensibile – pare – solo alla
velocità.
Ah, se ci fosse qui il mio collega Ammattatelli... (© Elena Biondi & Luigi Tabellini) |
La morale non cambia: anche se penso di
suonarle, le prendo sempre...
Gassssss (© Elisa Biondi & Luigi Tabellini) |
I bollenti spiriti si calmano all'ingresso della città, dove, anche se arriviamo primi, finiamo poi comunque col perderci per dare da bere al boxer,
più assetato del solito e una volta raggiunto il gruppo, scegliamo anche noi di farci spennare dai venditori di
souvernirs davanti alla vecchia Kasbah, dove il branco di mukke,
carotoni e altri bestioni stracarichi di masserizie, attende la nostra ripartenza.
Lungo la strada per Ouarzazate |
L'antica Kasbah di Ouarzazate |
Noi guardiamo la Kasbah e la Kasbah guarda noi |
Verso Aït Ben Haddou آيت بن حدّو sulla N9 (© Elisa Biondi & Luigi Tabellini) |
Ecco, ora siamo
pronti per Marrakech.
Che ci vuole? Basta proseguire per la N9 in direzione di Tazentoute تازنتوت e non fermarsi per un bel pezzo. Qui il deserto ti rapisce, l'asfalto diventa tutt'uno con la sabbia e con l'orizzonte, cui si unisce per quello strano effetto ottico del calore e della distanza per assumere la forma di un unico impressionante arazzo. All'ingresso di Tazentoute, però, cercate di svegliarvi e svoltate a destra, sulla P1506, seguendo le poche scarne indicazioni per AïtBen Haddou آيت بن حدّو, città carovaniera patrimonio dell'umanità.
Che ci vuole? Basta proseguire per la N9 in direzione di Tazentoute تازنتوت e non fermarsi per un bel pezzo. Qui il deserto ti rapisce, l'asfalto diventa tutt'uno con la sabbia e con l'orizzonte, cui si unisce per quello strano effetto ottico del calore e della distanza per assumere la forma di un unico impressionante arazzo. All'ingresso di Tazentoute, però, cercate di svegliarvi e svoltate a destra, sulla P1506, seguendo le poche scarne indicazioni per AïtBen Haddou آيت بن حدّو, città carovaniera patrimonio dell'umanità.
Sentite anche voi?
Il rumore del motore si attenua, sparendo del tutto, lasciando il
posto alla voce melodiosa di Lisa Gerrard (The Weat) e allo
sferragliare dei gladi che si scontrano tra loro nell'arena, mentre
un uomo rimasto solo, l'Ispanico, Massimo Decimo Meridio, comandante
delle Legioni del Nord, generale delle Legioni Felix, servo leale
dell'unico vero imperatore Marco Aurelio, indossa l'elmo da battaglia
che lo condurrà, da Gladiatore, a sfidare l'usurpatore Commodo al Colosseo.
La voce che risuona è proprio quella de Il Gladiatore, perché qui siamo dove tutto è cominciato,
almeno nel film di Ridley Scott: Aït Ben Haddou è una perla e non è un caso se poi alla fine, qui, sono stati girati alcuni tra i film più noti del dopoguerra, da Lawrence d'Arabia, nel 1962, ad Alexander (2004), passando per lo stesso Il Gladiatore, del 2000.
Aït Ben Haddou آيت
بن حدّو
|
Il ciccione in posa con la sua bella... |
Colors... |
Le viuzze di Aït Ben Haddou |
Dopo aver fatto tanta pipì ed aver raccontato al Ciocio che emozione
abbia provato quando Ridley Scott mi chiese di girare le scene di
combattimento come controfigura di quel maschiaccio di Russel Crowe,
riprendiamo la strada. E qui il gruppo si divide: Io, Angela e Paolo
Molinari – che zitto zitto continua a litigare con tutti i benzinai
del Sahara – ed altri ancora, torniamo indietro fino alla N9 e puntiamo
dritti verso il passo di Tizi N'Tichka تيزي
نتيشكا, che raggiungiamo dopo aver sfilato
un'infinità di paesi e cittadine, raggiunti poco dopo dal Ciocio col Gelindo e Antonella.
L'altro gruppo, invece, prosegue sulla P1506, che poi diventa
sterrata ma che alla fine conduce sempre sui 2.260 metri del passo,
dove la bellezza dei luoghi è insidiata solo dal traffico infernale
che attraversa il “passo difficile” (questo vuol dire il nome) e
dall'odiosa insistenza con cui un drappello di venditori sul colle
cercano di rifilarci la loro paccottiglia kitch e dei quarzi colorati
veramente orrendi.
Ci salva l'ospitalità della locanda, dove mangiamo tutti insieme
prima di posare per la foto ricordo.
Questa è la N9, occupata dal Molinari, ovviamente... |
Muli e caramelle... (il calo di zuccheri si fa sentire...) |
Questa è la P1506, che fanno il Tab ed altri... |
E poi, arriviamo... questo sono io! |
Questo è lo Schützy... |
Questa è Angela |
Questa è la Ciocio-Mobile (© Elena Biondi e Luigi Tabellini) |
E questi siamo tutti noi... |
La discesa è un girone infernale, perché alla bellezza del
paesaggio si contrappone il traffico infernale, che riempie l'aria di
polvere. Siamo anche un po' stanchi, ma Marrakech è sempre più
vicina...
Dura, l'avventura... |
Dovrò, a questo punto, inginocchiarmi sui ceci e scusarmi per aver
reso la visita della più importante tra le quattro città imperiali
marocchine, insopportabile alla mia signora.
Marrakech (مراكش), la città rossa, però non mi ha fatto una grande impressione: sarà per colpa della
mia avversione alla confusione ed al caos, all'ipocrisia di una parte
di questo popolo e probabilmente anche a certi pregiudizi di cui non
riesco, nonostante tutto, a liberarmi.
Però, si tratta senz'altro di una città fantastica, che nei vicoli più stretti della sua medina e dei suoi suq, offre colori e odori impossibili da ricreare altrove. Se hai la fortuna di non cadere subito nella trappola del tassista che cerca di convincerti dell'opportunità di un giro a tappe presso i suoi amici commercianti, farmacie comprese, diventa veramente un luogo imperdibile, nel quale – scusate l'allitterazione – perdersi diventa un obbligo. La piazza Jāmiʿ el-Fnā è sempre il primo posto dove il turista è accolto: alla bontà dei succhi d'arancia, aromatizzati con mille ingredienti diversi, si aggiungono i giochi dei serpenti, le scimmie che ti salgono a tradimento sulle spalle, le uova di struzzo e i datteri allineati sui banchi, vicino ai denti, d'oro e non, tutti rigorosamente umani e cavati chissà da quali bocche e di chi.
E poi la moschea della Koutoubia, il suo altissimo minareto, le tombeSa'diane, le due medine e il giardino di Majorelle, salvato da Yves
Saint-Laurent e dal compagno Pierre Bergé dalla rovina e
l'abbandono. Però, si tratta senz'altro di una città fantastica, che nei vicoli più stretti della sua medina e dei suoi suq, offre colori e odori impossibili da ricreare altrove. Se hai la fortuna di non cadere subito nella trappola del tassista che cerca di convincerti dell'opportunità di un giro a tappe presso i suoi amici commercianti, farmacie comprese, diventa veramente un luogo imperdibile, nel quale – scusate l'allitterazione – perdersi diventa un obbligo. La piazza Jāmiʿ el-Fnā è sempre il primo posto dove il turista è accolto: alla bontà dei succhi d'arancia, aromatizzati con mille ingredienti diversi, si aggiungono i giochi dei serpenti, le scimmie che ti salgono a tradimento sulle spalle, le uova di struzzo e i datteri allineati sui banchi, vicino ai denti, d'oro e non, tutti rigorosamente umani e cavati chissà da quali bocche e di chi.
Immagino che il lettore occasionale trovi stucchevole la quantità di foto che corredano i miei racconti, ma i colori catturati nelle nostre macchine, io li voglio liberare.
La piazza di Jāmiʿ el-Fnā, esplode di rumori, colori e odori (© Elena Biondi e Luigi Tabellini)
|
I celebri succhi d'arancia (© Elena Biondi e Luigi Tabellini) |
datteri e altro... (© Elena Biondi e Luigi Tabellini) |
Spezie (© Elena Biondi e Luigi Tabellini) |
Ciabatte: una per una sono bruttissime, ma nell'insieme... |
Marrakech, 28 aprile 2016
Dormiamo all'Hotel “Les Jardin Agdal”, uno dei più lussuosi nei
quali le mie stanche ossa abbiano avuto il privilegio di riposare e
anche la cena è stata molto buona.
Così, l'indomani, prima di andarci a visitare le principali attrazioni, noi e il Molinari ce ne andiamo a spasso per l'Atlante, finendo nel luogo con cui ho iniziato questo racconto, tre puntate fa, e anche questa quarta pagina del mio diario marocchino.
Non so perché ho dato retta allo Schützy, ma alla fine, dopo aver
indugiato qualche minuto sulle evoluzioni di alcune pattuglie
acrobatiche, io e Angela lo seguiamo. Punta dritto sulla R203, verso
Asni (أسني), nel cuore della campagna berbera, dove arriviamo dopo aver
attraversato villaggi circondati da immensi frutteti e fattorie. Da
qui, una parte del gruppo, che si era mossa autonomamente sfuggendo
alle insidie di Molinari, ha seguito alla lettera le indicazioni del
Ciocio, che conosce ogni angolo del pianeta, raggiungendo Taroudant
senza lasciare la R203 fino a superare il Tizi-n-Test, il passo più
spettacolare dell'Alto Atlante, anche se non il più alto.
Noi invece deviamo sulla P2005 e raggiungiamo il passo N'Tamatert,
raggiungendo quota 2.302: il bivacco che ci accoglie non ha altro da
offrirci che una coca cola, forse un po' stagionata, ma la strada ci
ipnotizza letteralmente.
Paolo, al rientro verso Marrakech, decide di raggiungere gli altri,
mentre io e Angela torniamo alla città imperiale, per visitarne le
bellezze di cui ho già parlato.
Ora lascio la parola alle immagini, sperando di poter contare sulla
vostra comprensione…
Percorrendo la P2005 verso Imlil |
Un po' di sterro, non guasta... |
Foto ricordo sul tetto d'Africa |
La bellezza del
giardino di Majorelle
|
Ancora il giardino di Majorette |
Ninfee e palme |
Acquistando spezie... |
Mi sembra di sentirlo ancora, Silvano Corvasce, che in genere parte con burn-out e che si fa rivedere solo a tarda sera, quando arriviamo in hotel, fremere per raggiungere Essaouria. Secondo le malelingue, Silvano - noto ingegnere piemontese, oriundo "tetesko di Cermania" - avrebbe acquistato da un noto spacciatore, alcuni oli motore paragonabili, per effetti, alla pillola blu. Secondo altri, invece, avrebbe raggiunto tali livelli di dipendenza della stessa pillola, da guidare praticamente sempre su una ruota, nonostante guidi una moto notoriamente troppo pesa per essere impennata oltre la seconda marcia. Quindi, caro Silvano, rispondi a me: sei tu che rizzi la moto o è lei che rizza te?
A destra, Silvano. Ma il misterioso pelato a sinistra, chi è? Lo saprete presto... |
Ma vi rendete conto che era sempre così avanti, che non l'ha fotografato mai nessuno???
© Lorenzo Borselli - Tutti i diritti riservati.
hahaha bello bello anche questo pezzo!! effettivamente con Bruno gli e Silvano ma c'erano pure Antonio e Vania (anche se Antonio faceva finta di andare piano perché avrebbe dovuto cambiare le pasticche :) ), gli abbiamo dato giù su quelle curve, di brutto!
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