“Come d' inverno cadono
le foglie e i rami spogli non coprono ai cecchini la vista, cosi'
cadono i piu' indifesi tra i vivi di Mostar: i malati di mente dell'
ospedale vecchio e gli anziani dell' ospizio di Stararcki Dom. Cadono
abbattuti, trafitti dai proiettili che li cercano dietro i vetri
rotti, nelle stanze tonnare dell' ultima degenza. Benvenuti alla
guerra di Mostar, antica pietra d'angolo della Erzegovina”
Erri De Luca, Il Corriere
della Sera, 28 febbraio 1994
E' il 20 settembre,
stamattina. E anche se il cielo è azzurrino, sappiamo che più avanti
pioverà.
Tiro fuori la mukka dal
fango del giardino di Petzo, che poche ore prima - nonostante la
gentilezza nei nostri riguardi - aveva usato parole poco gentili (se
così si può dire) per la Romania da cui arrivavamo e per la Bosnia
verso cui andremo.
Si, perché oggi vogliamo
andare fino a Sarajevo e per farlo dovremo fare moltissima strada.
Con Angela abbiamo deciso che risaliremo il Danubio continuando il
percorso della 25-1 fino a a Veliko Gradište, dove con Oscar e Ariela avevamo dovuto fare dietrofront per tornare a Ram ad imbarcarci sulla chiatta. Da lì prenderemo l'autostrada in direzione Belgrado e poi usciremo più o meno a Mali Požarevac, da dove andremo verso sud con strade secondarie e cercheremo di valicare il confine con la Bosnia-Erzegovina a Donje Vardište. Seguiremo le indicazioni per Višegrad e poi saremo praticamente arrivati.Andiamo?
Donjii Milanovac, mattina... |
Ops: se m'acchiappa Ammattatelli... |
Lui è il Danubio e loro sono le Porte di Ferro |
La fortezza di Golubac |
Ci entriamo in moto... |
I bastioni vigilano sul fiume |
Passiamo dall'altra parte |
Lasciare il Danubio significa veder cambiare radicalmente il paesaggio e quando torniamo nelle campagne che avevo già visto qualche giorno prima, rivedo i negozietti, qualche faccia già notata dietro le casse di peperoni rossissimi, soprattutto quelli vicini all'autostrada, dove arriviamo un'oretta più tardi.
peperoni... |
Prati. |
Il bellissimo ponte di Višegrad |
Avevo sentito parlare di Višegrad. Avevo un ronzio nel cervello da quando avevo visto il nome della città sulla mappa, che non prendeva forma: siamo andati subito in centro, in cerca di cibo, ma nessuno sembrava in grado di darci un panino o un sacchetto di patatine. Così, dopo esserci un po' asciugati, abbiamo messo le antipioggia a posto e ci siamo bevuti una birra prima di ripartire alla volta di Sarajevo.
Nemmeno una calamita... Uff...
Se il tempo ci avesse assistito un po', avrei placato il ronzio (quello in testa) leggendo sulla guida che la città in cui eravamo appena passati fu teatro di uno dei primi massacri etnici commessi sulla popolazione musulmana dalle forze serbe durante l'aggressione alla Bosnia ed Erzegovina (clicca qui). Non che i croati abbiano poi fatto di meglio...
Se il tempo ci avesse assistito un po', avrei placato il ronzio (quello in testa) leggendo sulla guida che la città in cui eravamo appena passati fu teatro di uno dei primi massacri etnici commessi sulla popolazione musulmana dalle forze serbe durante l'aggressione alla Bosnia ed Erzegovina (clicca qui). Non che i croati abbiano poi fatto di meglio...
Il Ponte Mehmed Paša Sokolović, in realtà, ha un passato in cui la crudeltà dell'uomo si alterna alla sua capacità di dialogo: da un lato univa le due parti della città e le due religioni, dall'altra è stato testimone delle orribili persecuzioni che hanno visto l'una e l'altra parte, alternativamente, vittima e carnefice. Fino
al secolo scorso, sul ponte venivano esibite le teste mozzate ed impalate dei contadini serbi, mentre durante il
conflitto bosniaco del 1992-1995 vi furono giustiziati centinaia di musulmani bosniaci. Oggi, è patrimonio dell'Unesco, ma dalla propria stoltezza e cecità, proprio, l'umanità non vuole guarire (clicca qui).
Una ricostruzione dei massacri |
Si cominciano a vedere i primi minareti, spesso accanto ai campanili delle chiese sempre più rare, ma ciò che sembra rappresentare elemento comune a tutte le costruzioni, sono i fori di proiettile sui muri delle case, alcune delle quali sventrate da esplosioni e lasciate lì, a memoria futura di un passato presente.
Cari amici, benvenuti in Bosnia.
E' impossibile, da questo momento in poi, evitare di fare i conti con la guerra che dal 1990 al 1995 ha insanguinato la Yugoslavia e il suo popolo. Fu (ma l'uso del passato remoto è improprio, visto che si tratta di un passato prossimo ) una guerra di tutti contro tutti, un conflitto civile fra i diversi popoli che fino a quel momento erano stati uniti nelle repubbliche socialiste: Croazia, Serbia, Bosnia ed Erzegovina,
Macedonia, Montenegro, Slovenia più le province serbe del Kosovo e
di Voivodina
Tutte queste province erano - e sono tuttora - molto diverse tra loro per religione, pensiero, cultura e livello economico e quando qualcuna di queste difformità provocava tensioni, la mano dura di Josip Broz, il maresciallo Tito, si abbatteva su di loro. Dopo la sua morte, l'incapacità dei successori portò il paese alla crisi economica e quando un popolo ha fame, i vecchi rancori riemergono: Croazia e Slovenia, più ricche rispetto alle consorelle, volevano l'indipendenza, gli albanesi del Kosovo tornarono ad alzare la testa contro i nemici di sempre, i Serbi, cui erano di fatto sottomessi e al momento in cui la Slovenia proclamò la sua indipendenza, il 25 giugno 1990, tutto iniziò a precipitare: l'esercito popolare, fortemente serbo, attaccò la Slovenia e solo la Nato riuscì a stringere una tregua, al termine della quale il governo jugoslavo accettò la secessione di Ljubljana.
Quindi toccò alla Croazia, che dopo aver annunciato la propria indipendenza subì a sua volta l'attacco di Belgrado: ancora morti e bombe ma anche in questo caso, con la pressione dall'estero, Zagabria poté divenire la capitale di un nuovo stato libero.
L'8 novembre 1991 la Macedonia dichiarò la propria sovranità, sancendo così che la galassia balcanica che Tito aveva unito, stava andando in pezzi.
La vera polveriera slava ha dato il peggio di sé quando anche all'interno della Serbia (e dunque in Bosnia) iniziarono a volersi separare tra loro i gruppi serbi, quelli musulmani e quelli croati. Le conseguenze di quella follia sono lì, davanti ai nostri occhi, appena entrati in territorio bosniaco. Ricordo che mentre noi ci preparavamo ai mondiali di Francia '94, a poche centinaia di chilometri dal nostro paese imperversava una guerra così violenta, con uccisioni di civili, stupri ed esecuzioni di massa e assedi medievali. Sarajevo, dove stiamo arrivando, è rimasta sotto assedio e sotto il tiro dei cecchini dal l 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996 (10mila morti e 60mila feriti).
Ma vi rendete conto? E noi ci siamo dimenticati di tutto questo?
La città rimase isolata, bombardata a ritmo serrato (nella strage del mercato morirono 68 persone) e decimata a colpi di carabina, difesa strenuamente da chi era sfuggito alla pulizia etnica messa in atto dai serbi. C'erano i caschi blu, ma nessuno sembrava essere in grado di spezzare la volontà omicida di Milosevic e dei suoi sgherri, fino a quando, a Sebrenica, i serbi uccisero oltre 8mila bosniaci musulmani: solo allora cominciarono i bombardamenti e solo allora si arrivò alla fine delle ostilità.
Le vittime del conflitto sono state stimate in quasi 100.000, di cui circa 40.000 civili.
A Sarajevo, dove la gente sopravvisse solo di coraggio, si poteva tornare a camminare senza correre e senza restare uccisi.
Queste cose le scrivo soprattutto per me, state tranquilli. Non voglio fare lezioni a nessuno: voglio solo ricordarmi che se possiamo viaggiare come turisti in un luogo dove ancora le tensioni sono altissime, lo dobbiamo a tutti quelli che sono morti e che hanno reso evidente la follia anche a quelli più distratti tra noi.
Per cui torno subito alla strada che da Višegrad porta a Sarajevo, la n. 5: costeggiamo la Drina e scopriamo che oltre ad essere un fiume bellissimo, è anche molto sporco. Non capiamo se si tratti di un problema temporaneo, magari provocato dalle piogge torrenziali che ci hanno preceduto (e che ci accompagnano, in verità), o se, invece, sia una questione cronica...
Cari amici, benvenuti in Bosnia.
Welcome in Bosnia and Herzegovina |
Tutte queste province erano - e sono tuttora - molto diverse tra loro per religione, pensiero, cultura e livello economico e quando qualcuna di queste difformità provocava tensioni, la mano dura di Josip Broz, il maresciallo Tito, si abbatteva su di loro. Dopo la sua morte, l'incapacità dei successori portò il paese alla crisi economica e quando un popolo ha fame, i vecchi rancori riemergono: Croazia e Slovenia, più ricche rispetto alle consorelle, volevano l'indipendenza, gli albanesi del Kosovo tornarono ad alzare la testa contro i nemici di sempre, i Serbi, cui erano di fatto sottomessi e al momento in cui la Slovenia proclamò la sua indipendenza, il 25 giugno 1990, tutto iniziò a precipitare: l'esercito popolare, fortemente serbo, attaccò la Slovenia e solo la Nato riuscì a stringere una tregua, al termine della quale il governo jugoslavo accettò la secessione di Ljubljana.
Quindi toccò alla Croazia, che dopo aver annunciato la propria indipendenza subì a sua volta l'attacco di Belgrado: ancora morti e bombe ma anche in questo caso, con la pressione dall'estero, Zagabria poté divenire la capitale di un nuovo stato libero.
L'8 novembre 1991 la Macedonia dichiarò la propria sovranità, sancendo così che la galassia balcanica che Tito aveva unito, stava andando in pezzi.
La vera polveriera slava ha dato il peggio di sé quando anche all'interno della Serbia (e dunque in Bosnia) iniziarono a volersi separare tra loro i gruppi serbi, quelli musulmani e quelli croati. Le conseguenze di quella follia sono lì, davanti ai nostri occhi, appena entrati in territorio bosniaco. Ricordo che mentre noi ci preparavamo ai mondiali di Francia '94, a poche centinaia di chilometri dal nostro paese imperversava una guerra così violenta, con uccisioni di civili, stupri ed esecuzioni di massa e assedi medievali. Sarajevo, dove stiamo arrivando, è rimasta sotto assedio e sotto il tiro dei cecchini dal l 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996 (10mila morti e 60mila feriti).
Ma vi rendete conto? E noi ci siamo dimenticati di tutto questo?
Sarajevo |
Le vittime del conflitto sono state stimate in quasi 100.000, di cui circa 40.000 civili.
A Sarajevo, dove la gente sopravvisse solo di coraggio, si poteva tornare a camminare senza correre e senza restare uccisi.
Queste cose le scrivo soprattutto per me, state tranquilli. Non voglio fare lezioni a nessuno: voglio solo ricordarmi che se possiamo viaggiare come turisti in un luogo dove ancora le tensioni sono altissime, lo dobbiamo a tutti quelli che sono morti e che hanno reso evidente la follia anche a quelli più distratti tra noi.
Per cui torno subito alla strada che da Višegrad porta a Sarajevo, la n. 5: costeggiamo la Drina e scopriamo che oltre ad essere un fiume bellissimo, è anche molto sporco. Non capiamo se si tratti di un problema temporaneo, magari provocato dalle piogge torrenziali che ci hanno preceduto (e che ci accompagnano, in verità), o se, invece, sia una questione cronica...
Le bellissime anse della Drina |
ecco: vedete questi punti bianchi? |
E' sporcizia. Tantissima. |
... senza parole ... |
Sembra che a rendere possibile tutto questo sia stata l'Europa coi suoi finanziamenti: quelli arrivati in Italia, sembra, sarebbero stati usati per il digitale terrestre. Possibile?
Il nostro hotel è il Villa Melody, graziosissimo, lussuoso e molto pulito, che ha offerto riparo a noi e alla mukka. Siamo a nemmeno cento metri dalla Bascarsija, il mercato di Sarajevo che rappresenta la zona più turistica della capitale bosniaca.
Nel fazzoletto di terra che costeggia la riva destra del Miljacka, il fiume della città, sembra di passeggiare nelle strade di Gerusalemme: in pochissimo spazio ci sono moschee, in particolare quella che porta il nome di Gazi-Husrev Beg, una cattedrale cristiana, una chiesa ortodossa e una sinagoga. Ci facciamo due passi lungo il corso della Bascarsija e arriviamo fino al Centar, che oltre ad essere il centro economico è anche il nome della municipalità cui appartiene. Ci rilassiamo passando, nella zona universitaria, vicino a un pub dove un gruppo si esibisce dal vivo. Proprio davanti, una teca di vetro protegge alcuni fori di calibro 50 che devono aver devastato l'interno del palazzo.
Poi, affamati, ci sediamo in un ristorantino del mercato, dove mangiamo un ottimo filetto (io) e una zuppa di cipolle (lei)... :-))))
Incredibile: dopo una lite violenta tra il padrone e uno dei camerieri, Angela riesce a ordinare e poi, zittizitti, che ne torniamo a nanna, sperando che le tute e i guanti si siano nel frattempo asciugate.
Passeggiare nella Bascarsija, significa trovarsi teletrasportati in Turchia e improvvisamente respiriamo un'atmosfera che definirei sospesa. Non dico magica, ma sospesa. Inspiri l'aria quando passia davanti alla fontana Sebilj, simbolo di Sarajevo (che di giorno non dice granché, ma di sera...) e la espiri solo quando te ne esci per andare al Centar.
La fontana Sebilj |
Lo struscio... |
Allah e Dio si guardano |
la Biblioteca Nazionale, ricostruita dopo l'attacco del 25 agosto 1992, quando i serbi la colpirono con bombe incendiarie provocando la distruzione di quasi tutto il suo immenso patrimonio |
Il ponte Vrbanja, oggi si chiama Diliberović-Sučić
|
Tagliando in perpendicolare arriviamo al ponte Vrbanja, che oggi si chiama Diliberović-Sučić, in onore della studentessa Suada Diliberović (considerata la prima vittima dell'assedio di Sarajevo) e della pacifista Olga Sučić. Suada Diliberović era di origine bosgnacca mentre Olga Sučić era croata. Entrambe vennero uccise il 5 aprile 1992 da un cecchino che agì dalle zone controllate dai serbi sul ponte all'inizio dell'Assedio di Sarajevo. In un primo momento il ponte venne nominato "Most Suade Dilberović" (Ponte Suada Dilberović), per essere successivamente rinominato come "Most Suade i Olge" (Ponte Suada e Olga).
Sul ponte c'è una targa commemorativa in ricordo di queste due ragazze che recita "Kap moje krvi poteče i Bosna ne presuši", una goccia del mio sangue scorre e la Bosnia non diventerà arida.
Il 3 ottobre 1993 anche un italiano venne ammazzato dai cecchini serbi sul Vrbanja: si chiamava Moreno Locatelli
ed era un volontario pacifista arrivato nella capitale bosniaca sotto assedio, per
aiutare anziani, persone sole e bambini. La giornata in suo ricordo è stata celebrata l'anno scorso a Sarajevo, quando gli è stata intitolata una strada.
Suada Diliberović e Olga Sučić. Su internet si trova solo una foto sbiaditissima di Suada. Pazzesco. |
Speriamo che le pallottole abbiamo sortito almeno questo effetto perché altrimenti c'è da impazzire.
Moschee lungo la linea della Miljacka |
Terrazze prese di mira |
In cima a Ulica Ferhadija |
Vječna Vatra, la Fiamma Eterna che
ricorda la liberazione della città dai nazisti nel 1945.
|
Lasciamo Bascarsija e proseguiamo verso il Centar, percorrendo la ulica Sarači,antico luogo di ritrovo dei conciatori di pelli: vediamo la Moschea
Gazi-Husrevbey (che le guide dicono essere l'esempio più rappresentativo dell'architettura
ottomana di tutti i Balcani). Passiamo davanti alla Kuršumlija Medresa, la Scuola superiore
islamica, piena di cupole, cupolone e cupolette, la Torre dell'orologio che, sembra essere in perfetta armonia con il minareto, e poi imbocchiamo dopo la cattedrale cattolica, l'ulica Ferhadija,
su cui si affacciano palazzi dallo stile architettonico tipicamente
asburgico. A fianco della cattedrale, visitiamo la galleria.memoriale "11/07/95" che dal 12 luglio 2012 documenta il genocidio di Srebrenica. La definirei una tappa obbligata di una visita a Sarajevo.
La cattedrale |
l'ulica Maršala Tita |
Qui si trova un po’ di tutto e ad esser sinceri dell'oriente visto al mercato resta ben poco: il Fuoco
Eterno (Vječna Vatra) è incorniciato da un palazzo neorinascimentale. Dal 6 aprile 1945, giorno della liberazione di Sarajevo dal
nazifascismo, è sempre rimasta accesa, ad eccezione di quando, durante l'assedio serbo, finì l'olio che l'alimenta. Durante
l'inverno la fiamma scalda anche i molti diseredati.
Ancora più avanti i palazzi liberty diventano grattacieli. Tra essi il palazzo del Parlamento. Ricordate quando venne incendiato?
Il mercato di Markale. Il 5 febbraio 1994 un attacco serbo provocò 68 vittime e 144 feriti |
Il parlamento bosniaco |
L'Holiday Inn |
Il bianco nel verde... |
... |
La strada è bellissima e servono più o meno tre ore per percorrerla tutta: è la E73, che dopo Konjic costeggia un bellissimo lago artificiale, il Jablanica, che si alimenta sul fiume Neretva, detto anche Narenta, che sfocia nell'Adriatico. Si tratta di un paesaggio da favola e la strada che lo attraversa è chiamata via Metkovic.
La E73 costeggia la Neretva |
Più verde l'acqua degli alberi... |
Dai. Bada che verde... |
Il primo approccio con la città è con lo scheletro di un edificio distrutto, segno della feroce battaglia che infuriò per tutto il 1993: parcheggiamo a due passi dal borgo sulla riva destra del Narenta e un "volenterosissimo" parcheggiatore ci costringe a sistemare la mukka davanti a un pub, prende in custodia i nostri caschi e giubbotti e dopo aver percorso una vera e propria passeggiata per turisti, arriviamo allo Stari Most, il ponte vecchio, abbattuto il 9 novembre 1993, era stato costruito più o meno 5 secoli fa. A tirarlo giù, a dare addosso ai bosniaci, stavolta non furono i serbi ma i croati, che lo bombardarono per due giorni, finché non riuscirono nell'intento. Ammazzarono centinaia di persone con le quali, fino a qualche mese prima, si trovavano a chiacchierare o a passeggiare insieme. Anche a combattere insieme, contro il comune nemico serbo, ma quando - nel 1993 - la comunità internazionale premiò di fatto l'occupazione (e l'inerzia sull'assedio di Sarajevo ne è un esempio), i croati pensarono di essere nel giusto a volere la loro parte di Bosnia Erzegovina.
Comunque: questo è il ponte. Rifatto bene o male, giudicate voi. L'importante è che le due rive del Narenta siano di nuovo unite.
Lo Stari Most, ristrutturato |
La riva sinistra, musulmana, e le acque verdi del Narenta |
Gas on the bridge |
Angela on the bridge... |
Mostar |
Sosta al Caffe BRu |
Omiš |
La bellissima Croazia che guarda il mare |
La fortezza di Omiš |
Mentre la mukka riposa nel ventre della carretta, noi facciamo un po' di chiacchiere con una coppia di Denver, reduci da una vacanza in barca a vela dalla Grecia, e poi proveremo a farci una doccia ed a riposare.
Mentre sfumacchio l'ultima, Spalato ci lascia l'ultimo ricordo di se.
Lorenzo Borselli © Tutti i diritti riservati
E infine, l'ho iniziata dal ritorno, questa vacanza...
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