domenica 27 novembre 2011

The longest (birth)day. And fastest...

Tuscany, near Volterra, november 26, 2011. My shadow on the right
Se il cielo è d'un azzurro sconvolgente, 41 anni dopo essere venuto al mondo, una ragione ci deve essere. Se poi hai un garage, da qualche parte, in cui la tua migliore amica scalpita per farti compagnia in un giorno che ti è sempre rimasto sul cazzo, per l'avversione genetica agli auguri che ti contraddistingue, il gioco è fatto. La metto fuori con dolcezza, anche se è sporca da morire: una principessa può anche rotolarsi nel fango con te, ma una cosa è il fango, altra è il rango. 
Girare la chiave nel quadro e vedere che le spie si accendono con quella rapidità, è come un preliminare d'amore: solo che mentre lei si scalda sbuffando ansiosa sul cavalletto centrale, io mi vesto, piuttosto che sporgliarmi come invece dovrei fare al cospetto della mia innamorata. 
Amore strano eh? Vorrei vedere voi, cavalcare a pelo un bovide di acciaio e plastiche...
Metto l'antivento, poi serro il foulard, indosso la giacca e chiudo ogni singolo bottone: infilo il casco, stringo bene il cinturino e poi tocca ai guanti. 
Sgassatina, lieve, per far girare l'albero motore e far sparire il ticchettio secco delle valvole ancora fredde e il piede sinistro innesta la prima, senza fare praticamente rumore. 
Sarà una splendida giornata, questo lo so. Ma quale senso darle?
Parto, sperando di decidermi prima di arrivare al semaforo, esattamente quindici metri dopo il garage. Destra: montagne; sinistra: Chianti.
Potrei anche cominciare da una parte per arrivare dall'altra e dare così un senso al 26 novembre 2011, così come mi ero ficcato in testa poco dopo la mezzanotte... 
Chianti. 

San Gimignano, da Castel San Gimignano
Il pensiero di oggi era nato così. Mare e montagna: rifare un po' la strada di mamma, coprire la distanza tra una casa e l'altra, rivedere per lei i panorami di una vita, sentire di nuovo gli odori di questi piccoli viaggi che un tempo mi sembravano avventurosissimi. Per arrivarci, al mare, passo attraverso la provincia di Siena, lasciandomi dietro  San Gimignano e le sue torri medievali per sfiorare Volterra. Il bello della mia Toscana è che quando ci sono giornate così, puoi vederla tutta da un capo all'altro. Credo che la visuale, la prospettiva, la diversità degli orizzonti che cambiano curva dopo curva, siano gli ingredienti più importanti per uno che ama i viaggi. E poi mi manca decisamente, in questo momento, l'idea di una valigia pronta. Da Volterra, poco prima di arrivare al bivio della Roncolla tra la SR68 e la SR439Dir, c'è una specie di terrazzino dal quale ti si apre la vista fino alla Lunigiana. Non scendo nemmeno dalla moto, ma la riconosco subito: è Pania della Croce, la Regina delle Apuane.

Il gruppo apuano delle Panie, oltre le Crete e il Monte Quiesa: che cazzo di foto stupenda! 
Metto la macchina fotografica in tasca, riavvio il boxer e mi metto in marcia, tirando su la mukkona in seconda proprio mentre passa un drappello di mukke in fila indiana. I miei fari guardano il cielo e allora penso: ciao! Nemmeno alla Nadia Comaneci sarebbe venuta così bene, la verticale...  
A Volterra, intanto, comincio a sentire l'odore del mare. Non so come mi sia arrivato nelle narici. Forse perché ho visto un cartello che indica Cecina, forse perché sono entrato nella provincia di Pisa, forse perché da piccolo ho fatto quella strada un milione di volte, seduto dietro sull'Alfa Sud verde, che poi diventò color crema. Ricordo un viaggio: stavo in piedi, scalzo, in mutande o pantaloni corti. Potevo tenere aperto solo uno spiraglio di finestrino e Paolo, se c'era, era in braccio alla mamma, che stava davanti. Ricordo un benzinaio e una bottiglia d'acqua fresca, in vetro. Mi fermo appena un attimo e guardo verso il mare. L'odore c'è. Che vista...

Volterra e la Val di Cecina
Via, riparto.
Se non fosse per l'asfalto screpolato e mezzo smottato delle colline fino a Saline, la discesa sarebbe degna di una corsa su strada e anche dopo, nel lungo rettifilo della SR68, dove una pattuglia di Carabinieri mi fa quasi venire un infarto, la tentazione di tirare la sesta a martello è decisamente forte. La strada, fino a Cecina, la si fa in un attimo e sarebbe anche un po' noiosa se non ci fossero tutte quelle assurde scritte su muri e cartelli che perpetuano l'eterna contesa tra pisani e livornesi. Non vorrei citare l'assioma di Euclide, secondo cui se due  cose sono uguali a una terza, allora sono uguali tra loro, ma... Mi sembran delle belle fave... A Castiglioncello, finalmente, il mare... La voglia di mettere i piedi a mollo è tanta: non mi tuffo in mare dal 2008, da quando inaugurai la bestia traghettandola in Corsica, e la giornata qui è calda al punto giusto. Sulla litoranea, fino a Quercianella, è pieno di auto parcheggiate e quando arrivo sul porticciolo c'è perfino gente che fa il bagno. Ecco: la prima tappa del viaggio è qui. Lego il casco e parcheggio la mukka vicino ai sassi dove mi sono arrostito la schiena a caccia di favoli e bavose, dove ho fatto i primi tuffi e dove sognavo di esplorare i fondali con un paio di pinne e un boccaglio ossidato.

Il porticciolo di Quercianella. Desolato come sempre... Ma che acqua...
Camminare sui sassi è un po' come tornare bambino. Quando lo ero ci saltavo sopra volando. Pesavo una cinquantina di chili e avevo i piedi prensili come le scimmie. Mi tuffavo in acqua senza curarmi della temperatura e agguantavo i polpi infilzati con la fiocina con le mani nude. Correvo sui sassi marroni della ferrovia e con una bicicletta senza freni rimediata al cassonetto, correvo senza sosta da Chioma fino al Rogiolo. Oggi toccare un cefalopode mi farebbe senso, mi sfracellerei sulle rocce come se precipitassi da un baratro e cadrei, in bici, alla curva di Villa Verde, ammazzandomi sul colpo... 
Non mi resta che partire per la montagna e chiudere il cerchio magico di questa lunghissima giornata. 
Ricordate il Kawasaki GPZ 900 che usò Tom Cruise in Top Gun, nella famosa scena in cui corre sulla strada lungo la pista mentre un F14 decolla? Beh... Io ho fatto più o meno la stessa cosa: dopo essere entrato alla barriera di Livorno, in A12, ho visto sopra di me un 737 della Ryanair in finale su Pisa. Ho chiesto al Sic di ispirarmi e dopo aver scalato un paio di marce mi sono sdraiato sul serbatoio e ho puntato dritto sul Boeing. Un 737 atterra a circa 127 nodi, più o meno 235 chilometri orari. Mi è scappato per un soffio... Forse è perché non c'era in sottofondo Take my breath away dei Berlin...
La sosta all'area di servizio di Migliarino, invece, sa di vintage...
Cotoletta, caldissima, coca alla spina, freddissima, tavolino tondo, piccolissimo...
"la ragazza dietro il banco mescolava, birra chiara e sevenup, e il sorriso da fossette e denti era da pubblicità..."
E poi la forma insolita, lunghissima, del bar, completamente deserto... Guardo la moto, là fuori. Oltre il vetro, Abbey Road...

Là fuori, il poster del Motor Show...
Verrebbe quasi da pensare di essere tra Omaha e Tucson e invece, come direbbe Francesco ad Augusto, siamo solo tra Piumazzo e Sant'Anna Pelago...
Ecco, ci sono! 
Passo da lassù. Riprendo velocità e attraverso Lucca in un attimo, fino a quando non imbocco la SS12 dell'Abetone e del Brennero. La strada, all'inizio, è bruttina, ma appena comincia a infilarsi nell'orrido di Botri, la musica cambia. Sembra che da un momento all'altro qualche folletto venga fuori dalle rocce scavate della Lima per rapirmi e portarmi nel paese che non c'è. 
Che io vorrei visitare, sia bene inteso, a patto che possa seminare un po' di panico con un bel burn-out o con una di quelle impennate che farebbero in genere incazzare qualche guardia e costarti la confisca...
Faccio una curva e il fantasma di un albero in cenere veglia la quiete della statale insolitamente deserta...

Il fumo dei camini veglia la strada...
E a proposito di guardie... Dalla Lima fino a Pieve Pelago non incontro proprio nessuno, fatta eccezione per qualche sparuta macchina. Vedere le pendici del Cupolino, del Cimone o del Gomito così desolatamente marroni, senza nemmeno una pennellata di bianco, ad eccezione della brina che si ostina a sopravvivere all'ombra di un sole ormai troppo basso per scaldare, aumenta la malinconia di un giorno lunghissimo che si avvia al tramonto. 
Però, ancora no...
Così abbasso l'altimetria e al bivio che c'è tra Pieve e la tangenzialina, una bella paletta dei caramba interrompe il ciclo termico del mio scoppiettante boxer... 
Favorisca patente e libretto...
Riparto lento, lentissimo, dopo la cazziata del cullé(*) e navigo a vista nella ghiacciaia di Montecreto fino a quando, passata Sestola, il profilo del Corno baciato dal sole diventa il faro verso acque più calde. 
Le acque calde, le strade assolate, rendono meglio e infatti, dalla Valle del Leo mi diverto ancora un po' e, finalmente, parcheggio accanto al gigante plurisecolare di Madonna dell'Acero, seconda tappa della mia corsa verso Neverland.

Mukka in religiosa attesa. Ma di che?
E' qui che ho pensato di tornare, 41 anni dopo essere venuto al mondo, sperando di trovare un segno nelle mura semplici di una chiesa eretta per venerare la Beata Vergine apparsa a due pastorali che, fino a quel lontanissimo giorno del mille e quattrocento, erano sordomuti. Cammino un po' nelle foglie ingiallite più dalla noia di una stagione che si ostina ad esser bella che dal freddo che, a questo punto dell'anno, avrebbe dovuto interrompere il loro ciclo vitale, lasciando i germogli delle nuove fronde sotto la corteccia morbida dei rami. Mi siedo sul muretto, cercando di ricordare il punto esatto in cui, quando ero bambino, la mamma, che oggi cerco in ogni passo che faccio, si mise a sedere aspettando l'ora della messa. Ricordo che aveva un cardigan rosso, una gonna scozzese e delle scarpe marroni. 
La piazza è deserta e il muro è freddissimo, nonostante il sole. No, non c'è.

Autumn in Acero's Holy Mary.
Non c'è cosa peggiore che partire in un giorno così e non trovare quel che cerchi. 
Lo so. Si dirà: è arrivato lui... sale in moto e cerca il paese che non c'è, la mamma che non c'è...
Ci speravo, okay? Speravo che qualcosa sarebbe accaduto... Pensavo che dietro una delle mille curve fatte in un giorno così avrei trovato l'accordo giusto per intonare un canto celtico, una di quelle musiche strane, nemmeno troppo melodiose all'orecchio mediterraneo e fischiante che mi ritrovo, che permettono - dicono - di sintonizzarsi con il cielo. Ho sperato fino all'ultimo momento.
Quando ho girato la chiave nel quadro e ho sentito interrompersi la quiete millenaria di questo luogo, ho provato il desiderio forte di scappare, di andarmene via. Mi sono sentito anche un po' sciocco per tutta la fiducia che avevo riposto nel giorno numero 14.975 della mia vita...
Ma che volete farci? Sono una fava...

(*) Cullé: diminutivo poliziesco che indica, scherzosamente, il collega.


Copyright © Lorenzo Borselli tutti i diritti riservati

9 commenti:

  1. ......^O^.....@UGURI !!! C. da D.....g!!

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  2. Quel giorno, quando mi hai telefonato per propormi di accompagnarti, sapevo che dicendoti che non potevo, mi sarei perso qualcosa. Qualcosa di bello. Strada, luoghi e compagnia. Dovevo rispettare un impegno già preso e, a fatica, molta fatica, ho dovuto dirti di no. Mannaggia. Del resto gli impegni presi, sono presi. Costi quel che costi....ma quanto mi è costato, quel giorno, non averti chiesto dove? a che ora?
    Massimiliano

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  3. Immagino... Non sarei stato troppo di compagnia, ma... C saremmo divertiti eccome...

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  4. Bellissimo. Tu, sei bellissimo.

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  5. In che senso? Non farai ingelosire qualcuno?

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  6. Nell'unico senso possibile dopo un post così.
    E no, tanto sposo lui :-)
    Sei su? C'è neve?

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