C'è una forza strana che sprigiona dal terreno quando in un certo punto convergono migliaia di persone tutte diverse tra loro, che non si conoscono, per fare la stessa cosa. Non ho capito se si trattava di una forza creatasi dal magone di quelli che si sono dati appuntamento a Coriano, per salutare il Sic, o se sia dipeso dal fatto che quando tutti quanti sono arrivati in uno sperduto paesino sulle colline di Riccione sia stato perché il grido muto del Campione li ha chiamati a raccolta.
E chi può saperlo? Di certo quella forza c'era.
C'era in tutto quello che vedevi, in tutto quello che toccavi. E quel tutto era ammantato da una profonda coltre di tristezza che non riusciva a coprire il bello delle persone, del cielo, degli alberi su cui si erano incastrati i palloncini a forma del cinquantotto del cupolino di Marco che i bambini del paese avevano liberato in silenzio, uno a uno...
Ho dovuto aspettare due giorni per riuscire a scrivere del male allo stomaco che io e Oscar abbiamo avuto per tutto il viaggio. Sembrava che le nostre moto non volessero iniziare la salita verso la Romagna, sembrava che il mare di nuvole da cui sbucava il castello dei Conti Guidi, a Poppi, fosse una specie di invito a non proseguire. Le punta delle dita si sono bagnate della foschia e hanno cominciato a pungere. Poi l'asfalto dei Mandrioli ha iniziato il suo richiamo, lo stesso che il Sic e la gente come lui deve provare quando la libertà di piegare fino a sfidare la gravità ti fa sentire leggero e volatile.
Ha scaldato le gomme, ha arroventato i collettori, ha impiccato la geometria del Giesse nei tornanti trafitti dai fasci di luce del Sole che sì, voleva sbucare a tutti i costi dal cielo, per vedere dall'alto del suo trono i puntini rumorosi e scoppiettanti tutti diretti a Coriano.
Le curve veloci da Cancellino fino al valico sono venute perfette, così perfette che anche il motore deve essersene accorto e il lungo istante che mi ha portato fino alla cima l'ho vissuto tutto in apnea, un po' per la paura, un po' per l'adrenalina dei traversi sulle foglie marce a terra, un po' perché ho cercato di fare da antenna e trasmettere la sensazione al ragazzone caduto in un asfalto lontano che, mi è sembrato davvero così, mi ha finalmente conosciuto.
Ho messo fuori il piede e tutta la coscia, per ritardare la piega in attesa di una striscia asciutta che mi facesse andare giù ed è stato davvero bello saperlo fare.
E' vero, suona strano pensare che la morte di un perfetto (s)conosciuto sia in grado di non farmi dormire la notte, di farmi svegliare sentendo la mancanza di una bevuta mai fatta, di una gita mai cominciata, di una vita che solo oggi si incrocia alla mia, in una serie di traiettorie e curve che da casa mia conducono alla chiesa di un paesino romagnolo.
Bella Sic...
Anche se non vivi più, vivi di più.
Copyright © Lorenzo Borselli tutti i diritti riservati
Ha scaldato le gomme, ha arroventato i collettori, ha impiccato la geometria del Giesse nei tornanti trafitti dai fasci di luce del Sole che sì, voleva sbucare a tutti i costi dal cielo, per vedere dall'alto del suo trono i puntini rumorosi e scoppiettanti tutti diretti a Coriano.
Le curve veloci da Cancellino fino al valico sono venute perfette, così perfette che anche il motore deve essersene accorto e il lungo istante che mi ha portato fino alla cima l'ho vissuto tutto in apnea, un po' per la paura, un po' per l'adrenalina dei traversi sulle foglie marce a terra, un po' perché ho cercato di fare da antenna e trasmettere la sensazione al ragazzone caduto in un asfalto lontano che, mi è sembrato davvero così, mi ha finalmente conosciuto.
Ho messo fuori il piede e tutta la coscia, per ritardare la piega in attesa di una striscia asciutta che mi facesse andare giù ed è stato davvero bello saperlo fare.
E' vero, suona strano pensare che la morte di un perfetto (s)conosciuto sia in grado di non farmi dormire la notte, di farmi svegliare sentendo la mancanza di una bevuta mai fatta, di una gita mai cominciata, di una vita che solo oggi si incrocia alla mia, in una serie di traiettorie e curve che da casa mia conducono alla chiesa di un paesino romagnolo.
Bella Sic...
Anche se non vivi più, vivi di più.
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RispondiEliminaL'addio ad uno (s)conosciuto, perché ne hai solo sentito parlare, perché non lo hai mai guardato negli occhi, se non attraverso le fotografie, dove anche lui sembra guardare proprio te. E' emozionante anche se glielo puoi dare da solo, quell'ultimo saluto. Magari dopo molti anni e in un foresta di lecci, betulle e querce, a migliaia di chilometri da casa tua. E anche se al posto di una bara o una tomba c'è il sapore dolcissimo di un miele che le api producono proprio da quei fiori. E' la stessa sensazione.
RispondiEliminaquegli occhi e quel sorriso ci han sempre parlato in un modo che ci piaceva, che pareva di un altro mondo quasi.
RispondiEliminaa volte basta "restar poco" per rimanere.
rimaner tanto nel cuore di chi, anche se nn ti ha conosciuto di persona, ti ha riconosciuto come un piccolo messaggero su due ruote.
non saprei dir il perchè, ma.. il Sic è morto, sì, eppure nel cuore questo (da quasi una settimana oramai) si trasforma solo in un gran senso di VITA.
un motociclista davvero con una marcia in più, quella di emozionarci di Vita.
questo insegnamento credo che sia stato il dono di Sic per noi.
Ne sarà stato consapevole? credo di no ed è meraviglioso: i puri vivono la vita, non stan lì a pensarla.
grazie per averci dato qs grandioso esempio di "buona vita", Sic..
lunga Vita, allora, perchè niente si è interrotto domenica, ma è incredibilmente esploso..