Max, Giggi e Gas. Il XXX è sparito. |
Il finale sarebbe stato certamente lieto, se tutto fosse filato liscio.
Cominciamo però a distinguere tra quello che è il viaggio del Condor e quello di Jan Solo.
Jan, che voi conoscete come Gas, aveva messo la prua del Falcon verso Cerbaia, valicando i dolci e profumati rilievi di Artimino e di Poggio alla Malva incanalandosi poi verso le tranquille acque dell’Arno attorno al Masso della Gonfolina, costeggiando Ginestra Fiorentina e ormeggiando l’Adventure davanti alla pasticceria del borgo, proprio sulla Volterrana.
Jan leggeva i giornali del mattino e gongolava vedendo le facce di tutti quei politicanti corrotti a scontare finalmente una qualche sanzione sociale per ciò che avevano commesso.
Il solo ripensare a quello che aveva dovuto fare per coglierli con le mani nel sacco e incastrarli, però, gli faceva venire i brividi.
Strano che l’ultimo giorno di quel lungo filo coincidesse col pensiero della prova che lo avrebbe atteso la notte successiva.
Boh...
E mentre lo pensava (mentre pensava “boh”), ragionava sul fatto che la combinazione di quelle tre lettere produce un suono gutturale, quasi onomatopeico, che non indica solo la formula bruta dell’ossido di boro ma anche, soprattutto nel caso che lo vedeva protagonista, un enorme stivale chiodato che seguiva una rotta isterica verso il suo culo o verso un’altra parte anatomica, a quest’ultimo vicinissima, nota ai più come scroto.
I granellini dello zucchero di canna stavano ammucchiandosi uno sopra l’altro, acquisendo il peso necessario a forzare la resistenza della schiuma del cappuccino, su cui il barista aveva disegnato una curiosa forma di elica mai vista in quello stato e in rapido dissolvimento, un po' come è possibile vederlo fare alle nuvole, nelle giornate più ventose di qualche greppo appenninico, con le minute particelle d'acqua che risalgono i pendii dirupati prendendo velocità fino al crinale, scavalcandolo e, infine, sparendo.
Mentre Jan zuccherava il cappuccino, l’inconfondibile rumore delle tre Giesse animò la piazza assonnata di Cerbaia, un luogo dove, nonostante tutto, si poteva ancora distinguere un rumore dall’altro e dove anche l’arrivo di un’auto sembrava poter destare, nonostante la modernità del tempo, una qualche curiosità.
Vi si poteva respirare un senso di ospitalità atavico: merito, forse, di un ospizio che avevo accolto i viandanti dal sedicesimo al diciottesimo secolo.
Cambio, da qui in poi, la forma narrativa, utilizzando sia la prima persona che una diversa consecutio temporum, passando dall’imperfetto al presente. Mi torna meglio e poi non voglio trasformare una giornata di moto in una specie di noir in bianco e nero.
Manco mi riuscirebbe, tra l’altro…
Gigi, in primo piano. Dietro di lui Max in vena di conquiste... |
E le donne?
Beh, le donne vanno matte per loro, soprattutto per chi, raggiunta un’età che non consente più l’attribuzione del giovane ma nemmeno del vecchio, ostenta una forma fisica invidiabile e uno sguardo maturo.
Poi c’è la partenza: vedere quattro uomini che scaldano i motori mentre parlottano e ridono prima di prendere la strada che conduce verso un luogo sconosciuto, chissà dove, ha un indiscutibile fascino. Ricordo, quando ero piccolo, quanto riuscivo a fantasticare sulle R80 germaniche che passavano davanti a casa, i lunghi pomeriggi passati sulle banchine del porto di Livorno, quando traghetti e cargo manovravano prima di sparire verso Meloria o sui muretti del Paretaio, a Calenzano, ai bordi dell’A1…
La partenza è questo.
Il problema era tornare, semmai.
Già. Tornare. Sì, ma Dove?
Inizia Max, a fare strada e dirigere la piccola carovana di moto tutte uguali verso Volterra. La rotta seguita passa attraverso la Val di Pesa e la Val d’Elsa, lungo una delle strade più antiche della Toscana, assieme alla Via Francigena. La fecero gli etruschi, per collegare Fiesole a Volterra e da qui per far arrivare il sale al porto di Piombino.
Saliamo prima verso Montagnana e poi ricaliamo verso Montespertoli, passando davanti al Castello di Montegufoni, nella valle del Virginio.
A Montespertoli il telefono del XXX vibra nella sua tasca.
E gli deve vibrare forte, perché a un tratto sembra che sia attaccato all’alta tensione… Max e Gigi sono un po’ avanti, così li raggiungo dopo aver detto al XXX che lo aspetteremo girato l’angolo.
E così sarebbe anche stato, se non fosse che il XXX, colto da improvviso spirito fuggiasco, tira dritto senza vederci. Inutile inseguirlo: pareva unto.
Visto che siamo davanti a un benzinaio, compriamo un paio di latte d’olio e rabbocchiamo le interiora delle mukke che, nella corrispondente specie in carne e ossa equivarrebbe, più o meno (credo) al lampredotto.
Languorino…
Il XXX chiama dopo una mezzora e ci annuncia di aver vinto la Volterrana Trophy: ha bruciato il crinale del Chianti Shire passando per Ortimino, Castelfiorentino, superato il fiume Elsa e, dopo aver marciato trionfale lungo la main street di Gambassi Terme ha conquistato Volterra.
Volterra è ormai vicina... |
Sì. Lo sappiamo anche da soli.
A Volterra, a tavolino di un bar all’angolo con piazza dei Priori, decidiamo che da lì in poi si va verso Massa Marittima.
Volterra, il Palazzo dei Priori |
I dolci rilievi, brulli e cotti a puntino dal sole, cambiano improvvisamente man mano che ci si avvicina alle Colline Metallifere, anche se le curve della SS68 continuano a farci godere. Peccato che quando entriamo nella Valle del Diavolo, del paesaggio infernale che le è valso questa toponomastica sia rimasto ben poco: giganteschi tubi d’acciaio rovente portano i gas bollenti dai lagoni e dai soffioni allo stabilimento e ci sembra di essere in un quadro futurista più che nel cuore della Toscana. Forse, se François-Jacques de Larderel fosse rimasto a casa sua, piuttosto che dare il via alla produzione dell’acido borico...
Ecco, questo è il momento di dire qualcosa.
Boh… (inteso come formula dell’ossido di boro)
L'Isola d'Elba spunta dalla nebbia del mare |
I Giesse finiscono a lisca di pesce proprio all’ingresso della piccola cittadina medievale, a due passi dalla piazza del Duomo, che si chiama in realtà piazza Garibaldi. È una città bellissima, forse tra le più belle ed espressive di questa terra. A guardare la cattedrale di San Cerbone si sente la fortissima malinconia che scuote chiunque attraversi l’Alta Maremma…
Siamo in terra di Cinghiali e così l'incontro deve essere in qualche modo celebrato.
Gas col suo degno e improvvisato compare |
Ma torniamo alla piazza Garibaldi.
Qui un riccone svizzero si innamora a turno di Gigi e di me. Gigi viene addirittura molestato… colpa, forse, del Vermentino di Sardegna che il gaio quattrinato usa per innafiare l’Entrecote ai funghi porcini.
Funghi di Romania, credo, perché qui non piove da luglio.
La cattedrale di San Cerbone |
Gigi in posa, dietro la curia |
Il ritorno è proprio forte: da Massa Marittima imbocchiamo una strada velocissima che ci porta verso Chiusdino, ma la nostra meta finale è San Galgano.
Prima l’Abbazia e poi Monte Siepi, con sosta obbligata allo Chalet “Salendo”, con un secchio di lemonsoda e ghiaccio per tutti.
San Galgano |
Cerco un po’ di respiro voltando lo sguardo a Ponente, già arroventato dal pensiero che il sole andrà a cascarci dritto.
‘Gnamo si va a casa…
Casa?
Copyright © Lorenzo Borselli tutti i diritti riservati
già l'incipit è preludio al triste finale.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiElimina@SF. L'explicit deve essere ancora scritto...
RispondiEliminaGiusto per rimanere in tema di Maremma, vediamo se "maremma buaiola" questa volta riesco a postare un commento. Son mesi che ci provo ma invano. Due le cose: il blog ha dei problemi oppure i probelmi ce l'ho io (mi sa la seconda).
RispondiEliminaOvvia, proviamoci un'altra volta.
Sono certo che coloro che hanno visto il film "i tre giorni del Condor" ricordano ancora le emozioni che il suo regista, Sydney Pollack, ha saputo loro trasmettere.
Nel nostro caso, ne sono più che convinto, saranno i protagonisti, invece che gli spettatori, a ricordare gli indimenticabili momenti trascorsi in compagnia di amici.
Il rombo delle nostre mukke che scorrono veloci lungo tortuose strisce di asfalto, immersi in quei panorami della nostra meravigliosa regione, le chiacchere dei loro cavalieri accompagnate da grasse risate, saranno sempre nei nostri ricordi.
Un grazie a Lorenzo, Luigi, Francesco.
Max
Grassie a tè!
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiElimina@Lorenzo: scrivilo, che ti fa bene. Non qui, naturalmente!
RispondiEliminaGrazie Gas per i tre giorni passati insieme, grazie per farceli rivivere nel tuo racconto. Un ringraziamento a Max ed al Fora alla prossima uscita.
RispondiElimina@SF ce la metterò tutta!
RispondiEliminaè questo che mi aspetto da te :-)
RispondiEliminami fa piacere vedere che ci sono lavori in corso per ristrutturar(ti).
RispondiEliminagli amici sono (quasi) tutto.
buon lavoro